Un povero privilegiato
(La Vita Del Popolo, 05 novembre 2004)
Lo scrittore Gian Domenico Mazzocato ci presenta la figura di S. Martino, vescovo di Tours
Pubblichiamo questa testimonianza sulla figura di san Martino dello scrittore e latinista Gian Domenico Mazzocato che sta traducendo in questo periodo proprio la Vita di san Martino scritta da Venanzio Fortunato, il grande poeta latino di Valdobbiadene. Mazzocato scriverà, proprio attorno alla figura di san Martino, il libro-strenna che Vita del Popolo regalerà a Natale a tutti i suoi abbonati.
Undici novembre 397: si chiude, di fatto, un secolo e anche un’epoca. Quattro anni prima si era celebrata l’ultima olimpiade, 293ma della storia. L’imperatore Teodosio vi sentiva una manifestazione pagana e, per editto, aveva chiuso il tempio di Giove a Olimpia e, insieme, una tradizione più che millenaria. Proprio per questo, qualcuno individua in quel 393 la data della fine del mondo antico e dell’inizio del Medioevo.
E viene sepolto a Tours (appunto, l’11 novembre del 397) dove era stato vescovo per 26 anni, uno dei più grandi santi della cristianità, Martino. Martino (nato in Pannonia, l’attuale Ungheria, attorno al 315) lo ha attraversato tutto questo secolo che si apre con le persecuzioni di Diocleziano e si chiude sulla ormai vicina dissoluzione del potere di Roma.
Il toponimo più diffuso
Martino non ha lasciato nulla di scritto, e questo rende in qualche modo ancora più affascinante il mistero del suo radicamento nella cultura popolare e nella storia. San Martino è probabilmente il toponimo più diffuso al mondo e la lista delle categorie che individuano in lui il loro patrono è praticamente infinita: dai bottai ai detenuti, dai sarti ai soldati. E poi città (Belluno e Lucca, ad esempio), parrocchie in numero infinito (11, se abbiamo contato bene, nella sola diocesi di Treviso), enti, associazioni, organizzazioni.
Nella cultura lombardoveneta (ma anche altrove), poi, san Martino lega il suo nome alla chiusura dell’anno (10 novembre) agricolo e all’apertura del successivo (11). Nel giorno di san Martino, che spesso veniva sentito come una vera e propria festa di precetto, nella nostra realtà contadina entravano in vigore i nuovi patti e i nuovi contratti. E spesso coincideva con la tragica partenza verso l’ignoto perché il giorno prima il padrone si era presentato imponendo lo scomio (o escomio – il commiato, cioè -, la disdetta, il congedo). Un incubo, una minaccia per secoli usata dai padroni.
San Martino era temuto (come giorno) e venerato, pregato, invocato (come santo). Solo una questione di date, un punto segnato sul lunario? Solo per caso la scadenza è legata al santo sepolto in questo giorno?
Il santo dei contadini
Il fatto è che nessun santo come Martino ha legato il suo nome alla realtà rurale. Il santo dei contadini, verrebbe da dire. Con tratti di modernità sorprendenti. Lo stesso atto che ha consegnato al sentire collettivo la figura di Martino (il taglio del mantello per offrirne metà ad un povero) può essere riproposto come avviene nell’infinità di quadri che rievocano l’atto di generosità.
Ma deve anche essere restituito alla sua integrità, cioè come ce lo tramandano i suoi biografi (il primo dei quali, Sulpicio Severo, fu suo amico e discepolo). Il fatto accadde alle porte della città francese di Amiens nel 338 circa, quando Martino aveva attorno ai 17 anni: giovanissimo, dunque, e ormai soldato da qualche anno per volere del padre che già alla nascita lo aveva segnato con quel nome da guerriero (Martino è diminutivo di Marte, il dio della guerra). Martino non è ancora battezzato anche se ha frequentato il catecumenato a Pavia. Il povero è nudo, intirizzito. Martino ha a sua volta un gran freddo, ma scende di cavallo e usa quello strumento di morte che è il suo gladio per un atto di bontà. Porgendo metà del suo mantello al povero gli dice: “Un po’ più di freddo a me, un po’ di calore in più per te”.
Martino dunque non è il ricco che ha regalato il superfluo, è il povero che è comunque in posizione di privilegio rispetto ad un altro più povero di lui e vuole spartire la sua risorsa. Un atto di modernità e attualità assolute, di generosità autentica e cordiale. Ma Martino era davvero il santo dei contadini. Tra gli innumerevoli miracoli che i biografi gli attribuiscono quasi tutti sono riservati agli umili, ai diseredati che lo sentivano come protettore e difensore, guaritore e taumaturgo. Una volta Martino se la prese perfino con gli agenti atmosferici colpevoli di colpire con violente grandinate sempre la stessa zona. Martino interviene e la grandine non cade più per molti anni.
Aneddoto rivelatore
C’è un episodio straordinario che non appartiene all’aneddotica corrente, ma è molto rivelatore.
Martino è già vecchio (e vescovo da tanti anni) e muoversi gli costa. Un giorno arriva a Tours un funzionario imperiale, Aviziano, che cattura un gran numero di contadini, li imprigiona, li tortura e li manda a morte. Le punizioni devono essere esemplari per convincere gli altri. La maggioranza dei prigionieri, infatti, è data da contadini che non sono in regola col pagamento di tasse e balzelli davvero onerosi e vessatori. Martino si stende davanti alle porte del palazzo di Aviziano e finché non ha ottenuto la liberazione dei prigionieri non se ne va.
Come non vedere in Aviziano la tragica figura del padrone che comunica lo scomio? Forse non è solo coincidenza, forse davvero è in qualche modo giusto che san Martino si festeggi proprio in quel giorno.
Gian Domenico Mazzocato