La vita, galleria di personaggi
(Intervista apparsa su La Vita Del Popolo, 12 dicembre 2003)
Sempre in movimento. Sempre alla ricerca di nuove storie e nuove idee per i suoi racconti. Gian Domenico Mazzocato, scrittore e giornalista, nostro collaboratore, si è specializzato in “casi letterari” che ci riportano indietro nel tempo, alla scoperta delle storie dei nostri antenati. Anche l’ultimo libro è un “caso”, “Il caso Pavan” (Editrice San Liberale, pp. 200, 12 euro); sarà presentato giovedì prossimo 18 dicembre alle ore 17, presso l’ex chiesa di Santa Croce a Treviso, dal direttore della Vita del popolo, Lorenzo Biagi, e dal vicedirettore del Gazzettino Edoardo Pittalis. Tra i mille impegni per l’imminente presentazione, abbiamo rivolto alcune domande all’autore.
Come è nata l’idea de “Il caso Pavan”?
Da un antico scartafaccio processuale ho appreso che a metà del Settecento nelle prigioni di Treviso (che allora si trovavano nella centralissima piazza di san Vito) scoppiò un incendio. Tutti i detenuti furono fatti uscire alla svelta e, a cose finite, si ripresentarono per “tenuizzare” la propria pena, cioè per vedersela un po’ accorciare. Si presentarono tutti, meno uno. In quel momento ho capito che avevo in mano il mio romanzo, che potevo immaginare una storia attorno alle tematiche che più mi premono. Così nasce il mio Tomaso Pavan.
L’ambientazione de “Il caso Pavan” è simile a quella dei
precedenti romanzi: cosa le preme far emergere del Veneto e della sua gente nel ‘700?
Ancora una volta parto dalle condizioni di fame, miseria, sfruttamento, ignoranza in cui il Veneto è per troppi secoli vissuto. Ma in un periodo in cui si fa un gran parlare di radici, di identità culturale dei Veneti, ho la sensazione che tutto questo si traduca in tesi preconfezionate, in un qualcosa (non so bene cosa) da dimostrare a tutti i costi. Ancora una volta i panorami della mia narrativa sono Treviso, il suo territorio, la Serenissima, e poi le isole del mare greco su cui ha sventolato per secoli il leone di san Marco. Ecco, a me premeva raccontare che nell’anima della gente della mia terra albergano anche inquietudine, voglia di cambiamento, sfida, volontà di progresso, sete di esplorazione. E dunque spazio per la grande domanda esistenziale che riguarda, tout court, l’uomo e il suo destino. Insomma che cosa deve fare l’uomo della sua vita, in determinate condizioni storiche, che senso ha il suo stare nel tempo, anzi in “quel” tempo. Se poi andiamo in cerca di suggestioni, o anche di debiti culturali, devo citare un libro che ha esercitato sempre su di me un influsso profondo, un fascino irresistibile: “La storia della mia vita” di Giacomo Casanova, certamente il più grande “romanzo” della letteratura italiana.
Le figure femminili sono molto più caratterizzate di quelle maschili. Come mai?
Devo dire, a questo punto, che è una costante della mia narrativa. Me ne accorgo a cose fatte, naturalmente, ma ne sono felice. La donna rimane sempre un territorio misterioso. Si capisce di essere al suo interno dal lampo di uno sguardo, da un odore o un profumo, da una mano che ti sfiora. Qui diventa regina splendida la Maria Scattona, la misteriosa e bellissima contrabbandiera che sa tutto della vita. Soprattutto che la vita è spesso storia di sconfitte, lotta per la sopravvivenza. E poi tante altre: Betta, la dolente madre del protagonista, Ester, la donna che gli dà un figlio, Iseppa, l’attrice factotum della compagnia teatrale dei Desiosi.
Non un’unica storia, ma tante vicende che si intersecano attorno a quella di Tomaso Pavan…
Ho già detto delle suggestioni che mi vengono dal grande Giacomo. E basterebbe. Ma il fatto è che la vita è inesauribile galleria di personaggi, è incontro/scontro con caratteri diversi e multicolori, è caravanserraglio, sagra, fiera, confusione; è moltiplicazione e proiezione all’infinito del proprio io. È una pietra preziosa, cangevole e rutilante a seconda di come la luce la colpisce. Ho provato a tradurre tutto questo nella formula del romanzo.
Come riesce a far coesistere nelle pagine di questo libro le piccole storie contadine venete con la grande saga omerica?
Come scrittore non ho molte certezze. E tuttavia sono profondamente convinto che nulla, come il mito, serva a spiegare e a interpretare il mistero profondo che è l’uomo. Facciamo fatica ad ammetterlo, oppure ce ne dimentichiamo: siamo tutti figli di Giovan Battista Vico. Con lui dobbiamo ricordarci che la “maraviglia è figliuola dell’ignoranza”. Cioè traducendo dalla scrittura del grande napoletano: la capacità di stupirsi, di provare sorpresa, e dunque di apprendere, alberga nelle anime semplici. Il mito, come dice Sgorlon, è la bussola dell’uomo moderno, lo strumento che tutti hanno (a condizione di volerlo davvero) per avvicinarsi alla verità. In questo romanzo, ad esempio, scopro assieme al mio lettore che il mito del mazzariol esiste ovunque, anche se in forme diverse. E che la storia di Ulisse (ma io la racconto in modo abbastanza inedito) è, per ramificazioni sotterranee, collegata alle storie che le nostre mamme raccontavano fino a non molti anni fa a filò.
(Alessandra Cecchin)