Colori e gente di Lucania
La Lucania Basilicata ha colori splendidi, praticamente ogni tonalità e tinta che stanno tra il verde e il giallo. E gente bella, dai modi gentili, educata, disponibile, ospitale. Era l’unica regione italiana che Egle ed io dovevamo ancora “esplorare”. Lo abbiamo fatto tra il 9 e il 18 luglio 2004. Una scoperta straordinaria, uno stare bene, il mettersi in sintonia con una dimensione umana autentica e di grande dignità. C’è gente fiera della sua terra, qui, che offre quello che ha. È stato facile, naturale parlare e avviare dialogo.
A dire il vero cominciamo dalla Puglia. Qui esiste una cultura diffusa che salva (ed enfatizza talora) le differenze, ma trova nella disponibilità e nell’ospitalità il suo nucleo duro e comune. Al mercatino rionale di Altamura abbiamo fatto un tuffo nei sapori e negli odori di questa terra. Il tema è ricorrente, il dilemma eterno. La gente di queste terre invidia al Nord il fatto di potersi tenere i suoi giovani, cioè la facilità di trovare lavoro. Noi, che dal Nord veniamo, troviamo qui una rete di relazioni, una dimensione affettiva evidente, una misura umana che dalle nostre parti piangiamo come perduta.
Il camper si è rivelato ancora una volta un mezzo straordinario di conoscenza e contatto. A Pietragalla (dove non c’è un metro in piano) un vigile si è fatto in quattro per trovarci il luogo dove passare la notte; a san Giovanni Rotondo, il parcheggio che ci ha ospitato all’arrivo ci ha offerto gratis acqua, elettricità, scarico e un posto per la notte; a Matera, sul castello che domina la città, abbiamo trovato una bella area attrezzata e una persona disponibile (“Addetto alla custodia del parcheggio” diceva il cartellino appuntato sul petto) che ci ha aiutato e agevolato in tutti i modi. Ogni situazione è stata occasione per parlare, attingere informazioni. Abbiamo percorso qualcosa come 2000 chilometri, di cui poco meno di 1400 per avvicinarci e tornare. All’andata abbiamo percorso la A 14 fino all’uscita di san Severo. Al ritorno abbiamo imboccato la Adriatica (la statale 16, cioè) rientrando in autostrada poco sopra Vasto.
Restano poco più di 500 kilometri per vagabondare tra paesi e città. Seguire vallate, assecondare il paesaggio collinare, scoprire laghetti di sogno.
Queste sono le tappe del nostro viaggio. Come è ormai abitudine di questi diari aggiungo anche una serie di indirizzi internet che possono risultare utili. In generale ecco alcuni siti e portali grazie ai quali si può accedere ad ogni tipo di informazione.
www.regione.basilicata.it (email: eliacovi@regione.basilicata.it)
www.sassiweb.it (Matera, ma non solo)
email: info@aptbasilicata.it; apt@powernet.it
SAN GIOVANNI ROTONDO
Cominciamo dal paese di padre Pio, non solo per motivi di ricerca spirituale, anche se devo dire subito che qui l’aspetto consumistico del cosiddetto turismo religioso ha aspetti di discrezione che altrove non si rintracciano. Qui l’industria della medaglietta e del santino non profana il clima di intensa spiritualità che si respira. Entriamo nella vecchia basilica, ascoltiamo messa, andiamo a visitare la tomba e la cella del santo frate.
Ma non siamo qui solo per questo, appunto. Intanto i 30 chilometri che separano l’uscita autostradale dal paese: un tratto pianeggiante tra prati e uliveti e poi un tuffo nelle colline. Benvenuto splendido in questa terra, anche grazie all’ottima viabilità. Approdiamo, per caso, al parcheggio su più piani Nuovo Millennio. Troviamo personale gentilissimo che ci prospetta la possibilità di passare la notte lì. Qui, sulla costa della montagna, la serata si preannuncia fresca e ventilata: un balsamo dopo una giornata rovente. Accettiamo, alla fine pagheremo solo il notturno, sui 7 euro.
Visitiamo il paese col suo complesso ospedaliero sorto dalla carità di fedeli e pellegrini di tutto il mondo: la Casa Sollievo della Sofferenza che, famosa ovunque, rappresenta la più concreta testimonianza dell’opera di padre Pio. Ed ecco la meta del nostro viaggiare:
la nuova chiesa progettata dall’architetto Renzo Piano e inaugurata da pochi giorni, il primo luglio. È forse il più straordinario edificio sacro moderno che ci sia capitato di vedere nei nostri viaggi. Qui la pietra perde pesantezza e suggerisce all’infinito l’idea del ponte tra umano e divino, spinge lo sguardo verso l’alto, il pensiero alla meditazione.
La nuova chiesa sorge oltre una spianata in leggero declivio. Per chi scende verso l’ingresso, sulla destra, ci sono ulivi e immense fioriere di lavanda. Sulla sinistra uccelli di pietra pronti a spiccare il volo recando un messaggio di pace (li ha scolpiti Mario Rosello e, a dire il vero, sono aquilotti, simbolo del cristiano che rinasce a nuova vita) e l’originale campanile orizzontale con la croce che punta a sua volta verso l’alto.
Al suo interno la chiesa presenta spazi immensi e richiama, pur nella estrema diversità dei modi e delle soluzioni architettoniche, l’aura sacrale delle antiche basiliche gotiche. Sull’altar maggiore la croce bronzea di Arnaldo Pomodoro, monumento al dolore e alla redenzione che ne può nascere; su un lato l’ambone, opera suggestiva oltre ogni dire, di Giuliano Vangi: racconta gli episodi evangelici della deposizione dalla croce e dell’annuncio della resurrezione del Cristo. Se la chiesa richiama l’analogia con le cattedrali gotiche, qui il pensiero va a Nicola e Giovanni Pisano e agli amboni da loro costruiti a Pisa e Siena.
L’organo con le sue 6800 canne, con i 78 registri e le 4 tastiere, alto 11 metri, è il più grande mai costruito in Europa.
Sulla via del ritorno sostiamo a san Marco in Lamis. Proprio all’inizio del paese ci fermiamo al laboratorio di restauro e antiquariato di Nick Petruccelli, ben segnalato sulla strada. Qualche discreto pezzo e ottimi prezzi, trattabili.
email: cappuccini@conventopadrepio.com
ALTAMURA
Altamura è città splendida, turrita e murata. All’arrivo abbiamo la fortuna di incocciare una macchina dei vigili urbani che ci aiutano a parcheggiare e ci danno le diritte giuste. Entriamo da Porta Bari e una serie di cartelloni ci aiuta a leggere la città trasformata, in un museo sulla strada. Dunque un museo vivo, pulsante, che ti entra nell’anima alla vista, al tatto, all’udito. Splendida la cattedrale, voluta da Federico II, che da queste parti ha segnato ovunque storia e territorio. La prima pietra è stata posta nel 1232 contestualmente alla fondazione della città stessa. Ci perdiamo in vie e vicoli. Nel mercatino rionale di frutta e generi alimentari siamo accolti come vecchi clienti e ce ne andiamo con le borse piene di frutta e formaggi. Visitiamo, girovagando, i claustri: ad Altamura ce ne sono circa 200 e rappresentano la sintesi tra il cortile di tradizione greca e il vicolo arabo. Il risultato è uno slargo che è luogo di incontro e prosecuzione in strada degli spazi domestici. I più famosi e belli sono il Tricarico e il Giudecca.
Nelle vicinanze da visitare il Pulo di Altamura, impressionante dolina, profonda 80 metri. Qui si può anche visitare, in una vicina masseria, l’Uomo di Altamura, scheletro, conservato bene e completo, di un ominide vissuto nel pleistocene (tra i 400mila e i 120mila anni fa).
GRAVINA DI PUGLIA
Bellissima e dolce, ovattata nel silenzio dorato del sole meridiano.
Direi quasi un preannuncio di Matera, ma sarebbe un togliere vigore e senso a questa splendida cittadina, abbarbicata alle propaggini che dalle Murge si protendono verso il Bradano. Gravina vuol dire “burrone”: il termine individua quei profondi crepacci che tagliano le rocce calcaree e tufacee e in cui l’uomo ha ricavato nei secoli spazi vitali incredibili. La gravina locale toglie il fiato. Da visitare la cattedrale di origini normanne (ma all’interno molti elementi rimandano alla grande stagione barocca del meridione italiano) e la vicinissima (si affaccia, come la cattedrale, sulla piazza Benedetto XIII) chiesa del Purgatorio. Gli enigmatici orsi scolpiti all’ingresso ci ricordano che l’edificio è stato voluto a metà del Seicento da Ferdinando III Orsini. Passeggiamo a lungo, con piacere.
www.comune.gravina-in-puglia.ba.it
MATERA
L’attesa di vedere questo posto unico al mondo si mescola alla suggestione letteraria. Mi pare di risentire Carlo Levi che descrive i Sassi (segno e simbolo di una cultura ma anche di una secolare povertà) nel suo Cristo si è fermato ad Eboli. Ora i Sassi sono straordinariamente recuperati e offrono possibilità di visita, di ristoro (locali e localini simpaticissimi, qui vige soprattutto la tradizione gastronomica degli arrosti), di sosta praticamente infinite. Due le conche, il Sasso Barisano e il Sasso Caveoso. A dividerle e a sovrastarle, il duomo che ha la facciata (col suo rosone sorretto da tre angeli e sormontato dall’arcangelo Michele) rivolta verso il Sasso Barisano. La chiesa rivela all’esterno le sue origini romaniche mentre all’interno prevalgono gli elementi che alludono ai rifacimenti settecenteschi. Dal duomo scendiamo (scale e scalette che sono una gioia agli occhi ma anche al tatto) alla città dei Sassi. Terrazze, stradine, una infinità di soluzioni abitative, grotte scavate nel tufo (talora con una facciata e talora senza), piazzole attorno a cui si raccolgono a gruppi le case e che insistono sulle antiche cisterne (le chiamano “vicinati”): il visitatore si muove in una dimensione sospesa.
La mente va ad altre zone del mondo in cui questa tipologia abitativa segna difficoltà economiche e spesso il degrado culturale e sociale di popoli interi. Qui si percepisce la svolta, avvenuta a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, che ha portato gli abitanti in quartieri di nuova costruzione limitrofi alla città e contemporaneamente ha lasciato intatto un patrimonio culturale che appartiene all’umanità. Oggi i Sassi sono una gioia per il corpo e lo spirito. Attraversiamo e saliamo alla chiesa dedicata a sant’Agostino: anche da qui straordinaria vista. La chiesa di santa Maria de Idris è quasi del tutto scavata nella roccia. E questo rimanda all’incredibile parco delle chiese rupestri che si trova sulla strada che conduce a Laterza. Straordinaria la Palomba (santa Maria della Colomba) che sovrasta la gravina.
Il cuore della città è piazza Vittorio Veneto, sempre brulicante di gente, con la chiesa dedicata a san Domenico. Da segnalare anche la chiesa gotico angioina di san Francesco d’Assisi e il museo nazionale Domenico Ridola che raccoglie materiale archeologico proveniente dal territorio materano.
Area camper (non troppo segnalata ma facilmente raggiungibile, tutti sanno dare indicazioni utili) sul castello Tramontano che domina la città e che è a due passi dal centro e dai Sassi. Scarico e rifornimento, offerta libera.
METAPONTO
Cultura e riposo, verrebbe da dire. A Metaponto, tranquillo borgo in comune di Bernalda, diviso tra terraferma e litorale, si respira aura di classicità. Il parco archeologico, (ampio parcheggio, ingresso libero, raggiungibile dal centro anche seguendo una comoda pista ciclabile) si rivela con la sua spianata in cui trovano posto resti dell’agorà, del teatro e di vari templi. Sarebbero ben illustrati dalle tavole didattiche, ma alcune sono rese illeggibili dalle intemperie. Siamo veramente in un bel posto: il verde degli eucalipti e il loro profumo, il gracidare delle rane sono la cornice di questo luogo sulla piana tra Bradano e Basento, ricchissimo di testimonianze greche risalenti al V secolo avanti Cristo. Qui viveva fin dal VII secolo una fiorente città fondata da Greci provenienti dal Peloponneso. Vicino (sulla statale 106 in direzione Taranto) visitiamo (anche qui ingresso libero e ampio parcheggio) le Tavole Palatine. La tradizione vuole (così leggiamo nelle guide) che qui tenessero i loro pasti i cavalieri di Carlo Magno. E da qui il nome. Prendiamola per buona. In realtà si tratta dello splendido colonnato (basamento e 15 colonne doriche che sorreggono la relativa trabeazione) di un grande tempio dedicato ad Hera. La costruzione è ascrivibile alla seconda metà del secolo VI. Imponente, suggestivo, imperdibile.
A Lido di Metaponto decidiamo di fermarci qualche giorno per fare mare e prendere sole. Noi cerchiamo soprattutto il refrigerio di una pineta ombrosa: ci indicano il camping Julia. Piccolino ma ben animato e con buoni servizi. A 300 metri dal mare: comodissimo per chi ha la bici, altrimenti la direzione del camping supplisce con un continuo servizio navetta. La spiaggia non è molto larga ma pulitissima e si presta a lunghe passeggiate, con tratti assolutamente selvaggi e suggestivi. Siamo in media stagione e paghiamo 20 euro a notte (elettricità compresa, docce libere). Dal campeggio si raggiunge il paese seguendo una comoda pista ciclabile.
POLICORO E LA SIRITIDE
Siamo sulla piana tra Agri e Sinni e viaggiamo su una splendida strada che muta in continuazione paesaggio. Policoro ricorda la prima vittoria ottenuta da Pirro nel 279 a. C., quando sbarcò in Italia. Qui avevano sede due città antiche, Eraclea e Siris. Tappa obbligata il bel museo della Siritide che propone una serie di reperti tombali di straordinaria bellezza e suggestione, ma soprattutto un percorso guidato da pannelli che è un vero piacere seguire per un agevole arricchimento culturale. Il biglietto di 2, 50 euro consente di visitare anche i vicinissimi (due minuti a piedi) scavi di Eraclea. (ampio parcheggio). Per chi ama la classicità greco-italica è una tappa che non può essere elusa. Le testimonianze più antiche risalgono al VII secolo.
Fuori di Policoro, Egle ed io tocchiamo con mano l’ospitalità della gente di queste parti. Ci fermiamo presso un rivenditore di motociclette (come si capirà tra un istante, devo assolutamente citare: Potenza Motors di Marconia, che è un paesino lì vicino) perché la ruota della mia bici è bucata. Sostituzione della camera d’aria in un attimo. Siccome è mezzogiorno chiedo di sfruttare l’ombra degli alberi, sul retro della casa, per mangiare. Beh, a farla breve, Mario, il titolare, ci invita ad unirsi a lui, ai suoi familiari e ai collaboratori della sua azienda per un pranzo incredibile, bagnato da uno straordinario Aglianico del Vulture. Fa tutto Mario: cucina e servizio, alla buona, con grande semplicità. Dire che siamo diventati amici e che ci siamo salutati con rimpianto e promessa di rivederci, è poco. Al momento della partenza ci siamo visti regalare un pacchetto con le uova appena uscite dal pollaio di casa. Sfido chiunque delle mie parti…
POTENZA
Città difficile per il camper, ringraziare Dio se si trova un buco per parcheggiare (col grattino: 0, 52 euro all’ora). Pensare di passarci la notte trova difficoltà insormontabili. Comunque sbarchiamo in centro, proprio a due passi dall’APT, in piazza Vittorio Emanuele II. Troviamo disponibilità e tantissimo materiale tutto gratuito. In pratica una guida per ognuno dei posti che abbiamo ancora intenzione di visitare. Con un comodo ascensore (a due passi) saliamo nel centro storico e percorriamo la bella ed elegante via Pretoria fino alla torre Guevara.
Torniamo indietro e visitiamo il bel duomo di origine romanica (ma successivamente rimaneggiato) dedicato a san Gerardo. Notevoli, sotto l’altar maggiore, i resti della basilica paleocristiana (IV, V secolo) per visitare i quali basta chiedere. Sempre grande disponibilità. Purtroppo dobbiamo rinunciare a fermarci per il giorno dopo.
PIETRAGALLA
Dopo Potenza risaliamo sulla 407 in direzione Matera. A san Nicola giriamo a destra, sulla 169. Destinazione Pietragalla.
Il paesino è splendido, abbarbicato su una collina. Davanti ha il suo “gemello”, Acerenza. Qui non c’è un solo metro in piano, ma troviamo un vigile gentilissimo che ci consiglia per il meglio. Passiamo la notte, tranquillissima, nel parcheggio dei pullman, lungo la strada. Al mattino visitiamo (complice una signora a sua volta molto gentile, cui casualmente abbiamo chiesto una informazione, ma che possiede tutte le chiavi) la chiesa che un tempo era dedicata a san Nicola ed ora a san Teodosio (“perché volevamo un patrono giovane” spiega la nostra guida improvvisata).
Possiamo così visitare, in modo insperato, anche l’interno dello stupendo palazzo ducale che risale al Quattrocento. E poi i “palmenti”, casette parzialmente scavate nel tufo e ricoperte da zolle di terra, un intero quartiere della cittadina. Alcune sono in abbandono, altre sono ancora usate, ad esempio, per pigiare l’uva e produrre il vino in vasche scavate nel tufo. Mattinata da spendere nel mercatino ambulante di frutta e verdure.
CASTEL DI LAGOPESOLE
Dopo Pietragalla, Melfi diventa la meta. Ma sulla strada (prima di nuovo la 169, poi la 658) tappa obbligatoria a Castel di Lagopesole. In questa frazione del comune di Avigliano, sorge, a dominare la valle di Vitalba, il più imponente tra i castelli fatti costruire da Federico II. Maestoso, sul cocuzzolo di una collina: davanti, dall’altra parte della vallata, si innalza l’antico cono vulcanico del Vulture. Il castello, che nasce sui resti di una preesistente rocca saracena, era in stato di abbandono e i restauri, partiti nei primi anni Settanta, si sono conclusi solo qualche anno fa. Il degrado in cui versava il castello federiciano è documentato in una serie di fotografie. Il risultato è di altissimo livello. Ora si può visitare l’interno (euro 1, 03) che ospita anche un museo. Le sale riportano indietro, al tempo in cui qui vivevano Federico e una corte colta, gentile anche se dedita alle armi e alla difesa oltre che allo svago e alla cultura. Tra i reperti più curiosi un antico gioco degli scacchi. Si parcheggia alla base del paesino e ci si arrampica con una breve, piacevole passeggiata.
Proseguendo verso Melfi, facciamo un giro largo per visitare i due laghetti di Monticchio. Sono molto suggestivi, una vera oasi. Occupano il cratere dell’antico vulcano del Vulture. Vale la pena di fermarsi e godere della fitta ombra del bosco di pioppi e ontani. Il lago Grande è diviso dal Piccolo da una stretta lingua di terra su cui sono venuti alla luce i ruderi dell’abbazia di sant’Ippolito. Sul lago Piccolo incombe la macchia bianca dell’ex abbazia di san Michele che ospita affreschi bizantini dell’XI secolo. A Monticchio si arriva prendendo la direzione di Rionero in Vulture sulla strada per Melfi e poi, proprio a Rionero, girando sulla sinistra. Dai laghetti, seguendo la 167, si raggiunge Melfi.
MELFI
Arriviamo a Melfi proprio di 16 luglio, giorno della Madonna del Carmine. Capitiamo in piena festa patronale perché ci sistemiamo nell’ampio parcheggio vicino al Municipio, nella parte nuova (vicino anche all’ufficio postale), con le mura melfesi davanti, a due passi e proprio a ridosso della chiesa del Carmine (peraltro dedicata ai santi Nicola e Andrea). Ci sarà processione, con banda comunale ed enorme partecipazione popolare.
In serata lunghissimo e clamoroso spettacolo di fuochi di artificio (ho visto qualcosa di simile solo nelle notti spagnole di Pamplona, alla sagra di san Firmino) con qualche paura da parte nostra perché la stazione di sparo dei fuochi è a pochi metri dal nostro camper. I primi botti ci fanno sobbalzare, poi ci beviamo lo spettacolo.
Se a Lagopesole abbiamo visto il più bel castello federiciano, qui c’è il prototipo della fortezza federiciana, anche se preesisteva all’imperatore essendo stato ideata e costruita da Roberto il Guiscardo. Qui si sono tenuti 4 concili, è stata bandita la prima crociata, sono state emanate le “Constitutiones regni”. Con questo atto, nel 1231, Federico II dotò l’Italia meridionale di un nuovo, fondamentale corpo di leggi. Insomma il castello federiciano è un luogo in cui si è fatta la storia. Ospita (ingresso 2, 50 euro) il museo archeologico nazionale che è una magnifica rassegna dei reperti archeologici trovati nel Vulture melfese e che attestano una ricchissima civiltà già nell’VIII secolo a. C. I ritrovamenti delle tombe di Labellum e Forentum restano negli occhi e nell’anima, indimenticabili. In una sala a parte si trova il celebre sarcofago di Rapolla: risale al II secolo d. C., proviene dall’Asia Minore e merita tutta la sua fama, affascinante e misterioso.
Scendiamo la via Normanna e vistiamo il duomo che risale al 1155, il portale della exchiesa di santa Maria la Nova, porta Venosina. Melfi è città ordinata, molto curata, consapevole del patrimonio storico che ha alle spalle. Un luogo dello spirito, una di quelle città in cui si vorrebbe fermarsi a lungo e che, al momento del congedo, lascia una grande nostalgia nell’anima. Ci portiamo dietro i rullini fotografici strapieni e un po’ di profumo: acquistiamo un mazzo di origano da un vecchietto.
VENOSA
L’ultima tappa è la patria di Orazio. Siamo all’estremo margine orientale della zona montuosa del Vulture. Visitiamo il centro storico, la cosiddetta casa di Orazio (ciò che rimane, probabilmente di un antico edificio termale), la quattrocentesca cattedrale (con resti di affreschi raffiguranti una bellissima sacra famiglia e risalenti al Cinquecento). Davanti sorge il palazzo Calvino, oggi sede del municipio: all’interno una tavola marmorea che reca incisi i “Fasti Municipali”, un elenco di magistrati romani della seconda metà del I secolo a. C. Nella parte nord della città, sulla strada per Canosa, visitiamo lo splendido parco archeologico (euro 2, 50 con cui si accede anche al museo archeologico che ha sede nel castello): si visitano i resti di un complesso termale, di alcune case, di un anfiteatro, di un battistero paleocristiano (notevoli le due diverse fonti battesimali, una a fiore l’altra a fossa). A ridosso sorge il singolare complesso dell’abbazia della santissima Trinità. Ne fa parte anche la cosiddetta chiesa nuova: una chiesa costruita con materiale di riporto dei vicini complessi architettonici. Si tratta di una chiesa senza soffitto. La memoria va all’abbazia di san Galgano, ma lì il tetto è crollato. Qui siamo davanti invece ad una splendida (e misteriosa) incompiuta. Semplicemente i costruttori dopo aver tirato su colonne e disegnato abside e navate, si sono fermati.
Il castello risale alla seconda metà del Quattrocento. Ospita il bel museo archeologico nazionale con un ricchissimo repertorio di iscrizioni latine ed ebraiche. Una sezione del museo (a dire il vero un po’ meno curata) ricostruisce l’archeologia remota della zona, a partire dal medio pleistocene, cioè dal periodo in cui il Vulture era vulcano attivo.