Prefazione di Darwin Pastorin
Eccola, finalmente. La prima antologia di racconti, tredici, dedicata all’ucronia sportiva. Si legge d’un fiato, ci fa riflettere, maledire, rimpiangere. Il gioco eterno del “se”. Quante volte abbiamo pensato nella nostra vita: e se fosse andata in maniera diversa, e se quel giorno, quell’appuntamento, quel ritardo…
Lo sport è colmo di “se”: che non fanno storia, ma che ci proiettano in un universo parallelo, in un’altra dimensione, tra rimpianto e fantascienza, tra Borges e Asimov. Andrea Pelliccia e gli altri autori (bravi, senza se e senza ma) ci regalano pagine intense, emozionanti, commoventi.
E io ripenso al mio amato poeta crepuscolare Guido Gozzano.
Ricordate la poesia “Cocotte”?
Non amo che le cose che potevano essere e non sono state…
Ritorno ai miei dodici anni, al 1967.
Giugno. Provino alla Juventus. Attaccante. Davanti ai maestri Pedrale e Grosso. Realizzo un gol con il ginocchio, ma vengo scartato.
Non è vero. I maestri Pedrale e Grosso mi fanno i complimenti, vengo tesserato. E nel 1974 eccomi al debutto in serie A, con maglia bianconera, al fianco del mio idolo Pietro Anastasi. Contro il Brescia segno in rovesciata e il primo ad abbracciarmi è proprio lui, Pietruzzu.
9 ottobre. Ernesto Che Guevara viene assassinato nella selva boliviana mentre cercava di portare in America Latina il senso, i sogni e la prassi della rivoluzione cubana. L’Utopia dell’Uomo Nuovo.
Non è vero. Il Che, seppure ferito, riesce a tornare a Cuba, salvato dal coraggio dei contadini boliviani. Morirà vecchio e sereno, dopo aver dato alle stampe la sua monumentale autobiografia di milletrecentocinquantasei pagine: “Nasce dal cuore la mia rivolta per i popoli”.
15 ottobre. Muore investito da un’auto, attraversando corso Re Umberto a Torino, insieme al compagno di squadra nel Torino Fabrizio Poletti, l’ala destra Gigi Meroni. Un fantasista, un beatnik, uno che dribblava anche le nuvole e girava sotto i portici antichi del capoluogo sabaudo con una gallina al guinzaglio. Pochi giorni dopo, sono al derby. In curva Filadelfia, con la mia bandiera bianconera listata a lutto. Tutti piangono. I granata vincono 4-0, tripletta di Nestor Combin, e rete di Alberto Carelli, sceso in campo con la maglia numero 7 della “farfalla granata”.
Non è vero. Meroni viene sfiorato dall’auto. Ha un gesto di imprecazione, poi dice a Fabrizio: “La vita è un attimo… Dai torniamo a casa, non vedo l’ora di abbracciare Cristiana!”. Il derby finirà 3-3, tripletta della “farfalla” e tripletta di Menichelli. Gigi diventerà campione del mondo a Messico ’70, segnando il gol della vittoria azzurra, su assist di Gianni Rivera, contro il Brasile di Pelé nella finale di Città del Messico. 3-2 per gli azzurri. Pelé dirà: “Questo Meroni è davvero un fenomeno. È il Mané Garrincha italiano”. Meroni, finita la carriera, ha passato anni e anni a insegnare i segreti del pallone ai bambini di Como. Ha continuato a disegnare quadri bellissimi e ha sempre rifiutato di prendere parte ai salotti calciatici televisivi. “Il calcio si gioca, non si discute”, diceva.