POLONIA, UNA FERITA APERTA
Nessuno, tra i paesi europei che ho visitato, mi appare testimonianza di un passato sofferto e di dolore, di scempi e di identità rubata come mi è apparsa la Polonia. Percorrere la Polonia (2 camper, 4mila kilometri complessivi, 4 amici: Edda e Danilo oltre a mia moglie Egle e me) è stato scoprire un continente, dimidiato tra presente e passato, proteso al nuovo, attento all’antico, talora ansimante nella sua rincorsa ai modelli occidentali dopo la caduta del muro.
Paese in ogni caso di identità solida e robusta, pur nella lacerazione di tante contraddizioni.
Di cui sono emblema soprattutto le chiese. Splendide, di grande impatto visivo quando le si avvicina, molto spesso disadorne e perfino spoglie quando vi si entra: qui hanno rubato ladri secolari, ogni invasore, ogni straniero, ogni occupatore. E quando le chiese conservano anche all’interno il loro splendore antico, questo avviene nel segno di un barocco che non lascia angoli liberi, che invade ogni spazio, che avvolge (e opprime).
Un urlo di dolore che è impossibile sopire e che ci rammenta lo strazio della storia recente sono i campi di sterminio nazista. Appena si entra in Polonia Auschwitz e Birkenau; e poi a nord, vicino al confine con la Russia, Stutowo, il primo aperto in Polonia e l’ultimo ad essere liberato.
Le città sono vive, pulsano in continuazione. La gente è gentile, disponibile, attenta allo straniero, anche se il polacco è lingua durissima da penetrare e la conoscenza di lingue straniere non è alta: spesso, con tutta la buona volontà, è impossibile interloquire in modo accettabile. Ma anche le città sono il segno di questa contraddizione. Varsavia, in primo luogo, una città enorme ma … che non c’è, come avrò modo di dire. E poi, nella microgeografia, i centri commerciali affollati, scintillanti, pieni di ogni cosa. Qui ha già proteso le mani la grande distribuzione straniera (soprattutto francese) ma non mancano nemmeno le catene di supermercati polacchi, a loro volta forniti e convenienti.
Ma come non mettere lo scintillio dei grandi centri commerciali accanto alle persone che sfilano a centinaia il nostro camper su ogni strada polacca, sedute sul bordo della strada a vendere mirtilli e funghi appena raccolti nel bosco? Come cancellare dalla mente l’anziana signora, in piedi con grandissima dignità, accanto ad un unico sacchetto di ciliegie, che vende la sua poverissima mercanzia tra le bancarelle della periferia di Cracovia?
C’è una sensazione di divario aperto, di solco profondo tra alcuni polacchi e (molti) altri polacchi. Come per le macchine di grossa cilindrata e di ultimo modello che corrono assieme ad un formicaio di 126 Fiat (qui la fabbrica italiana ha una filiale ad ogni angolo) spesso vecchissime e rugginose. La vita non è cara (circa un quarto rispetto all’Italia), ma i prodotti di lusso che stipano le luminose vetrine di centri grandi e piccoli non sono sicuramente alla portata degli stipendi medi. A Danzica siamo stati letteralmente assediati dai cambiavalute abusivi. Una sera ci siamo fermati a dormire in riva ad un lago, nel cuore della Masuria: siamo stati costretti ad entrare nel cortile di un agriturismo, perché la sosta fuori non ci era consentita. Abbiamo pagato la sosta dei due camper 40 złoty, nemmeno 10 euro in tutto. Al mattino abbiamo avuto la sensazione che i padroni di casa (con ogni evidenza mediamente benestanti) aspettassero i nostri soldi per andare a fare la spesa.
Eppure rimane alto il senso di identità che questo popolo fiero trasmette. La religiosità è componente forte e dominante. Lo si comprende nella frequentazione delle chiese, nel modo di immergersi nella preghiera (verrebbe da dire, con ogni parte del corpo).
E comprendiamo cosa ha significato per questo popolo esprimere un papa. La figura di Giovanni Paolo II (riproposta in ogni modo, in maniera perfino ossessiva) ha rappresentato orgoglio nazionale, una svolta nella storia, riconoscibilità, specificità, senso di appartenenza ad una gente che ha comunque un grande passato e vive con pienezza il suo presente. Il papa polacco ci guarda da ogni parte: dai murales, dalle locandine del film sulla sua vita, dagli enormi manifesti che reclamizzano le vicende del suo pontificato pubblicate a fascicoli da un quotidiano. Si è sviluppata e ramificata l’industria del turismo religioso, ma in modo discreto. Gadget, foto, poster, rosari. A Cracovia il locale ente turistico ha messo in piedi un tour in pullman nei luoghi di Karol Wojtiła.
In Polonia ci siamo trovati bene, non abbiamo avuto alcun problema. Tutti prodighi di indicazioni e di voglia di aiutare. Abbiamo perfino goduto dell’indulgenza di un bonario poliziotto quando, in un assolato e solitario pomeriggio di domenica, siamo stati sorpresi a correre un po’ oltre il limite consentito. In compenso le città sono servite da frequenti mezzi pubblici, anche se non modernissimi: accontentandosi, si raggiunge ogni angolo. Il costo medio di un biglietto di corsa semplice è attorno al mezzo euro. L’inconveniente è dato dalle rotaie dei tram sui cui il camper deve correre in continuazione e che fanno sempre stare in apprensione nel timore di vederne spuntare qualcuno. Per il denaro, carta di credito e bancomat sono la soluzione ad ogni problema. I campeggi (spartani ma provvisti di tutto) costano fra i 13 e i 15 euro per notte, in qualche caso anche meno. Sono peraltro poco segnalati e scovarli implica grande pazienza nel traffico quasi sempre caotico delle città. Spesso si trovano dei parcheggi custoditi che con 5 euro consentono di sostare per la notte (in questo caso docce e rifornimento di acqua sono extra).
Se dovessi indicare un limite di questo viaggio direi la viabilità pessima: strade sconnesse e (nella migliore delle ipotesi) strade con solchi che attestano un lungo traffico senza manutenzione. Molto, evidentemente, si è fatto e i cantieri sono aperti un po’ ovunque. Ma deve passare del tempo.
28 – 30 giugno (1205km)
Partiamo da Treviso nel tardo pomeriggio del 28 giugno. Scegliamo il passo di Tarvisio. Il progetto è quello di attraversare l’Austria, la repubblica Ceca e di varcare il confine con la Polonia a Česky Tešín. Passiamo la prima notte, vicino a Tarvisio, nella splendida solitudine alpina dei laghi di Fusine, dove si toccano i confini di Austria, Italia e Slovenia. Al mattino successivo acquisto del consueto (e vessatorio: la tariffa minima è per 10 giorni anche per chi deve semplicemente attraversare l’Austria) bollino necessario per viaggiare oltre confine. Passiamo il confine con la repubblica Ceca a Drusenhofen, poco sopra Vienna. Ai confini praticamente solo un controllo formale. Ci accoglie sulla destra la mole poderosa del santuario di Mikulov cui fa da singolare e significativo contrasto (in pianura, sulla sinistra) un moderno casinò.
Per la notte scegliamo Slavkov u Brna, località passata alla storia come Austerlitz: duecento anni fa (il 2 dicembre 1805, primo anniversario dell’incoronazione a imperatore di Napoleone) su queste dolci e verdissime colline si combatté una battaglia decisiva per spezzare la coalizione antinapoleonica. A Pressburg (Bratislava) si firmarono accordi che di fatto misero l’Europa in ginocchio davanti alla Francia imperiale.
Oggi Austerlitz è un piccolo, grazioso borgo di nemmeno 6mila abitanti che vive nella memoria di quell’evento. Troviamo un comodo parcheggio davanti alle scuole, proprio sotto allo zámek, il castello circondato da un grande parco che fu costruito dall’italiano Domenico Martinelli, oggi adibito a museo delle campagne napoleoniche (ospita tra l’altro documenti dei trattati di Pressburg).
Il giorno dopo varchiamo il confine di buon mattino: nessun controllo e passaggio tranquillissimo.
La prima meta è Oświęcim (Auschwitz), il campo di sterminio creato da Himmler nel 1940. Qui morirono quasi 5 milioni di internati di 28 nazioni diverse. Oggi è un museo dell’abisso in cui sprofondò la cultura europea sotto i colpi del nazifascismo: un orrore moltiplicato perché a 3 km da qui si trova Birkenau (Brzezinka) e a 8 km Monowitz. L’impatto è durissimo, sconvolgente. I forni crematori, le case in mattoni dove gli internati venivano ammassati oltre ogni limite, il luogo dell’orchestrina che allietava i pasti, i reticolati elettrificati, le torri di guardia. Una visita a questi luoghi non dovrebbe mancare alla vita di alcuna persona: chi non vede Auschwitz e Birkenau non sa. Credevo di aver intuito le voragini dell’orrore a Dachau e alle risiere san Sabba, ma qui non vi è paragone. La mia visita personale si è fermata nello stanzone in cui sono stato aggredito dalla visione di un mare di capelli: i capelli tagliati alle vittime del gas prima che venissero avviate ai forni.
Il campo è servito da un ottimo parcheggio a costi contenutissimi. Altri camperisti hanno scelto di passarvi anche la notte.
Noi abbiamo preso la strada per Wadowice, il paese che vide la nascita, il 18 maggio 1920, di Karol Wojtiła. La casa natale di Giovanni Paolo II è proprio a fianco della parrocchiale settecentesca, meta di pellegrinaggi e sulla cui porta una dolce signora chiede a tutti di firmare il registro delle visite. Un porto di mare, una sorta di stella polare, questa chiesa: all’interno vi troviamo due vecchi amici, nostri vicini di casa. Itinerari diversi, una meta in comune. Ci rendiamo conto che la foto alla porta della chiesa è quasi un obbligo. La casa di papa Wojtiła è presidiata da una suora gentile ma imperiosa. Per non rovinare il pavimento bisogna calzare enormi babbucce in feltro nero. La visita non regala particolari emozioni: c’è qualche oggetto che documenta la vita del futuro papa e parte dell’enorme bibliografia che lo riguarda.
1 – 2 luglio (160km)
In serata raggiungiamo la periferia di Cracovia dove troviamo accoglienza nel campeggio 171, proprio al terminale dei tram (8 e 19 per il centro).
Giornata dedicata a Cracovia la bella, capitale culturale della Polonia con la sua università e i suoi 17 musei. La città, che subito dopo il mille fu anche capitale politica sotto Casimiro I detto il Riparatore, domina la Vistola lungo la quale è piacevole passeggiare, immersi nel verde dei giardini. Il fiume è dominato dal Wawel, il colle su cui sorgono il castello reale e la cattedrale dedicata ai santi Venceslao e Stanislao.
Qui si respira bene, si sorride. Ad un angolo della Grodzca (la via principale della città) una ragazza canta con voce dolcissima accompagnandosi a un grande liuto (che credo abbia origini ucraine) chiamato bandura. La colonna sonora giusta.
Girare sulla collina, entrare nella chiesa, fermarsi al centro del cortile del castello che reca traccia della cultura rinascimentale italiana, spaziare con lo sguardo sul resto della città, significa confrontarsi con la storia dell’intera Polonia. Noi, per abitudine, ci affidiamo alle guide verdi del Touring che sono sempre molto efficaci ed esaurienti. Le tombe dei re (con più di qualche curiosità: ad esempio quella di Ladislao VI è vuota perché il suo corpo non fu mai ritrovato dopo la battaglia che lo vide opposto ai Turchi, a Varna nel 1444), le 19 cappelle, le vetrate con la storia della Santa Croce: ogni angolo è una rivelazione.
Scendiamo dal Wawel e ci accoglie la città vecchia, Stare Miasto, che ha il suo cuore vivo nel mercato centrale, il Rynek con al centro l’edificio gotico che ospitava l’antico mercato dei tessuti. La grande piazza è dominata dalla torre del municipio e dalla Kościół Mariacki, la imponente chiesa gotica dedicata a Maria, con i suoi tesori d’arte. Lo sguardo viene attratto dalla intensa policromia e dal realismo crudo dei volti dell’altare maggiore, opera insigne (forse il suo capolavoro) di Veit Stoss, un artista che ha lavorato in tutto la nazione.
Cracovia è scritta e decifrabile nelle sue infinite chiese. Nel Wawel resto un po’ deluso: chiedo a due pretini giovani in rigorosa tonaca lunga se parlano latino. Scuotono la testa perplessi, mi guardano come se fossi un marziano.
Facendo base sulla Grozka visitiamo, dopo la porta di san Floriano, la chiesa di san Francesco col suo coro ligneo raffigurante episodi della vita del santo (la chiesa ospita tra l’altro la tomba di un grande amico dell’Italia, il poeta Kochanowski, che nel Seicento tradusse in polacco Ariosto e Tasso), la chiesa dei Domenicani, la chiesa dei santi Pietro e Paolo (la più antica tra le chiese barocche della città), la chiesa romanica dedicata a sant’Andrea.
Imperdibile è il maggior museo polacco, il museo Czartoryskich, dal nome della famiglia che nella seconda metà dell’Ottocento costruì questo complesso architettonico. Nella galleria di pittura vi sono opere di pregio che documentano tutte le scuole europee tra XV e XVIII secolo. Ma il polo di attrazione è La dama dell’ermellino, opera di Leonardo celebrata in tutto il mondo (è il ritratto di Cecilia Gallerani, la donna di Ludovico il Moro, a lungo non reputata opera del grande maestro italiano). La bellezza di Cecilia è struggente e di fascino inesauribile: il suo sguardo che si perde lontano e la sua mano che accarezza l’ermellino sono sensazioni forti.
Visitiamo poi il ghetto e le sinagoghe.
Il giorno dopo attraversiamo di buon mattino il mercatino di frutta, generi alimentari e casalinghi vicino al campeggio: predominano le bancarelle nelle quali i contadini vendono i prodotti dei loro campi. Si compera bene per pochi soldi. Poi partenza per Częstochowa, via Katowice.
Ci fermiamo ai piedi dello Jasna Góra, il Chiaro Monte su cui sorge il santuario cattolico più famoso dell’Europa dell’Est. Ci è guida la torre nervosa che si erge su tutto il complesso. I pellegrini sono molti, non tantissimi. Si sentono tutte le lingue, ma prevale il polacco. La Madonna Nera è uno dei simboli alti della cultura (e non soltanto religiosa) della Polonia. Il clima è di festa e dalla porta del santuario esce una coppia di sposi che hanno appena celebrato il loro matrimonio. In segreteria abbiamo la fortuna di imbatterci in suor Danuta che ha vissuto a lungo a Roma e parla perfettamente italiano. È lei ad introdurci nella cappella dove si venera la celebre immagine. Che è una storia di violenze e di guerre: molti, nei secoli, hanno insultato questo leggendario dipinto su legno. Addirittura è stato spezzato in tre parti e i due sfregi che si vedono sulla guancia destra della Madonna sono il segno di questa violenza. Suor Danuta (dice che in Italia la chiamavano suor Sorriso: non stentiamo a crederle vicini alla sua luminosa personalità, ma suor Sorriso si trasforma quando vede entrare e rimanda indietro una signora con le spalle scoperte) ci dice come il quadro sia rivestito in modo diverso a seconda dei diversi periodi dell’anno.
Questo, che ospita la Madonna Nera, è un luogo di persistente, avvolgente sacralità. Uno di quei luoghi speciali e privilegiati che si avvertono intimamente, profondamente “diversi”. Ascoltiamo la messa, poi giriamo tra le bancarelle di articoli religiosi. Numerose, ma non invadenti.
Notte nel parcheggio ai piedi del colle.
3 – 5 luglio (611km)
Ci aspetta Varsavia.
La città che non c’è, si diceva. Nell’ottobre del 1944, nella morsa tra tedeschi invasori (lo sterminio messo in atto nel ghetto della città non è che uno degli aspetti di un calvario terribile) e sovietici in avanzata, la città viene rasa al suolo. Tutto quello che si vede è ricostruito, compreso lo Stare Miasto, il nucleo originario della città che guarda la Vistola.
Ci avevano preannunciato una città senza identità, sfuggente. Eppure a noi è capitato di subirne il fascino: le strade larghe e disposte l’una parallela all’altra, il verde diffuso, l’animazione dei locali e delle vie centrali lasciano una bella traccia negli occhi e nell’anima.
Ci fermiamo nel piccolo camping di Ulica Warsawskie, il numero 123. Anch’esso servito da ottimi mezzi pubblici. Il centro si raggiunge con il 517 o col 127 o anche col 130. Scendiamo proprio sotto l’altissimo palazzo della cultura voluto da Stalin. Una sorta di torre grattacielo, tipico, ingombrante documento della monumentalità sovietica. Oggi ospita un museo, diversi locali e un casinò. Ad ogni angolo il più incredibile concorso di pittura che mai mi sia capitato di incontrare: gli artisti di mezza Polonia si sono dati battaglia di creatività e colori dipingendo delle mucche.
Lo Stare Miasto ha il suo centro nella Plac Zamkowy, la piazza sul cui lato destro sorge lo Zamek Królewski, il castello reale distrutto dai tedeschi nel 1944 e la cui ricostruzione è iniziata solo nel 1971 e conclusa nel 1988: vi è una sala detta del Canaletto perché ospita le 22 vedute di Varsavia eseguite dall’artista italiano su commissione del re Stanislao Augusto. Proprio queste vedute sono servite a ricostruire la città. Visitiamo la cattedrale di san Giovanni Battista, il Rynek Starego Miasto, il mercato della città vecchia con le sue case variopinte, la cui ricostruzione risale al 1953.
Poi ci facciamo prendere dal giro delle grandi vie che si dipartono dallo Stare Miasto. In Ulica Senatorska si allarga la piazza del Treatro Grande. Torniamo in campeggio a tarda sera.
Al mattino seguente (portandoci sulla riva destra della Vistola e seguendo la 61 in direzione di Augustów) partiamo per quella che a noi è sembrata, dal punto di vista paesaggistico, la zona più bella della Polonia, la Masuria con le sue migliaia di laghi grandi e piccoli. Prendiamo la 16 per fare il giro dell’intera zona dei laghi. Passiamo la notte in un agriturismo sul lago Selmet, sotto un nido di cicogne.
Il giorno seguente percorriamo la distanza che ci separa da Mikołajki sul grande lago Śniardwy: nemmeno 100 kilometri che però, dato lo stato delle strade, assomigliano ad un percorso di guerra. Mikołajki viene chiamato, con una buona dose di enfasi, la Venezia dei Masuri. Il borgo, tuttavia, è bello, piacevole da girare con i suoi negozi (si vende soprattutto gioielleria legata all’ambra). Troviamo parcheggio (20 złoty, col permesso di scaricare e stare tutta la notte proprio all’ingresso del paese). Tiriamo giù le bici e la passeggiata sul lungolago è deliziosa. Nel pomeriggio godiamo della splendida crociera (25 złoty) di quasi due ore sui laghi: il paesaggio, nel sole limpidissimo della Masuria, è indimenticabile.
Tappa imperdibile è Malbork, con il suo Zamek, il castello la cui costruzione è iniziata nel 1274 e centro della storia politica e militare della regione. A entrarvi e ad aggirarsi nell’infinito numero degli ambienti di questa che è una vera e propria città murata, non si stenta a credere quello che affermano le guide: siamo in uno dei più vasti complessi architettonici d’Europa e, in assoluto, nel castello in mattoni più grande. L’ingresso è piuttosto caro per la Polonia (30 złoty), ma ne vale davvero la pena. A visitare (e di corsa) si impiega mezza giornata. Cortili, loggiati, passaggi, scale ripidissime, chiostri, antiche taverne, l’antico ospedale: un museo diffuso e diramato, di fascino assoluto. Girando, ci rendiamo conto del perché un biglietto così caro: il restauro del complesso che è praticamente un cantiere aperto e che procede ormai dai primi anni Sessanta deve essere costosissimo. Anche qui le pietre come storia stratificata. A cominciare da quando il Gran maestro dell’Ordine Teutonico, cacciato da Venezia, venne a risiedere qui. Indispensabile per districarsi nel labirinto la nostra guida Touring.
All’arrivo avevamo trovato posto nel vicinissimo campeggio numero 197 (ben segnalato e forse il meglio strutturato tra quelli frequentati in Polonia): due passi e siamo al castello.
Il giorno dopo puntiamo a nord verso la penisola Mierzeja Helska che ci porta fino al confine con la Russia. La penisola ospita alcune belle stazioni climatiche (sempre più disadorne, a dire il vero, mano a mano che ci si avvicina al confine). Il Baltico ventoso ci è ai lati e nell’aria turbina la sabbia delle sue lunghe spiagge. Corriamo su questa striscia di terra, in una impenetrabile foresta di conifere. E vicino abbiamo anche una ferrovia a scartamento ridotto, una delle tante ferrovie del dolore: su di essa correvano i treni nazisti che internavano nel campo di Stutowo: fu il primo ad essere aperto il 2 settembre 1939 e, incredibilmente data la vicinanza con la Russia, l’ultimo ad essere liberato il 10 maggio 1945. Tra questi reticolati sono state rinchiuse più di centomila persone.
In serata raggiungiamo la periferia di Danzica (Gdańsk) dove campeggiamo in zona Stogi (campeggio 218).
In centro ci rechiamo il giorno dopo, di buon mattino (tram 8 o 13). Danzica è forse la città di maggior fascino tra quelle visitate. Le sue vie, le piazze larghe dominate dalle facciata di chiara ascendenza olandese, le passeggiate lungo la Vistola e la Motława, le chiese, i mercatini formano un tessuto memoriale di grande richiamo. Città viva, pulsante, di grandi contrasti. Si intuisce che qui si sono incrociate molte civiltà e molte vicende diverse. Pullulano artisti di strada come altrove, ma ancora nel segno del contrasto, della divaricazione: un gruppo musicale rock e pochi passi più in là strumentisti tradizionali. Danzica è forse la porta giusta per entrare nella cultura polacca. Qui c’è davvero tutto.
Cominciamo dal Długi Targ, il Mercato Lungo: il centro della città verso cui convergono in reticolo ortogonale tutte le principali vie. La piazza con la successiva Ulica Długa, forma la strada reale. Alziamo gli occhi verso la Casa d’Oro, la Złota Kamienica, di scuola fiamminga e ricca di decorazioni. Un poco più in là, oltre la bronzea fontana del Nettuno, si erge la mole poderosa del Ratusz, il municipio. Poi l’Arsenale e il grande ponte sulla Motława. Visitiamo la chiesa di san Nicola con una Pietà in stile gotico decisamente suggestiva e la chiesa di santa Maria (un paio di złoty per l’ingresso), il santuario più grande di tutta la Polonia. Nel ricco addobbo (ma la maggior parte delle opere d’arte è al Museo di Danzica) spicca il monumentale orologio astronomico che risale al 1410. Ci avviamo allo Stare Miasto con l’antico Mercato del Legno ( Targ Drzewny) e la sua arteria principale (la Ulica Bielańska) con la bella chiesa di san Giuseppe e il Ratusz della città vecchia. Attrae la nostra attenzione anche il canale Raduni scavato sei secoli fa dall’Ordine Teutonico per alimentare macchinari e mulini. Qui vicino la suggestiva chiesa di santa Caterina (celebre per il suo orologio e il suo carillon di campane) e la chiesa gotica di santa Brigida che ha visto scrivere una delle pagine più recenti della grande storia polacca: tra i suoi banchi e tra le sue navate, infatti, si radunavano gli operai dei cantieri di Danzica sotto la bandiera sindacale di Solidarność.
In riva al Baltico il sole tramonta tardissimo, dopo le dieci. Quando torniamo al campeggio c’è ancora modo di godere della immensa spiaggia sul Baltico. Discoteche, locali, chioschi, ma anche sfilze di persone che cercano lattine e bottiglie di plastica vuote nei cassonetti.
9 – 13 luglio (1500 km)
Toruń è un centro di media grandezza (poco più di 200mila abitanti) sulle rive della Vistola. Grazioso, fervido di attività culturali, sede universitaria e patria dell’uomo che ha rivoluzionato l’universo, Nicolò Copernico. Il campeggio si trova nella parte più recente. Per raggiungere lo Stare Miasto si attraversa il lungo ponte in ferro sulla Vistola, fiume che offre anche suggestive passeggiate sulle sue rive. Città murata con le sue tante, imponenti porte. Ci accoglie l’edificio dell’università e subito dopo il Rynek Staromiejski, la piazza del mercato con il suo grande Ratusz in mattoni, sovrastato dalla torre dell’orologio. Piazza animata, gente che va e viene e frequenta i molti locali (la birra polacca è davvero tra le più buone al mondo), si sta preparando un concerto. Qui attorno il gotico polacco ha i suoi documenti più alti: la parrocchiale di san Giovanni che ospita il fonte cui fu battezzato Copernico (la casa dove è nato nel 1473 è proprio qui vicino, trasformata in museo con preziose edizioni delle sue opere e strumenti astronomici antichi) e la bella chiesa di santa Maria, con il suo coro poderoso.
È bello passeggiare, incontrare gente sorridente, soprattutto i giovani che sono espansivi e gentili. Toruń è un luogo della simpatia e della tolleranza, un luogo bello per lo spirito. Ci si stacca con parecchio rimpianto. Anche perché, in questo sabato con tanto sole e qualche goccia di pioggia, nella chiesa di santa Maria ascoltiamo una messa sul filo del canto struggente di una voce tenorile che annulla l’incomprensibilità della lingua.
Egle, instancabile navigatrice e disegnatrice di itinerari, ci fa deviare dalla strada verso Breslavia per portarci nel piccolissimo paese di Gąsawa dove si trova una chiesa barocca in legno. La gente è appena uscita di messa e l’interno ci accoglie con le sue pareti ingenuamente dipinte, con l’incredibile pergamo policromo, con le sue statue in legno. Un monumento della pietà popolare che emoziona, induce alla preghiera. Qui vicino, sulla riva di un laghetto, è Biskupin, un villaggio nel quale nel 1934 furono ritrovati i resti di una città fortificata della prima età del ferro (la cosiddetta civiltà di Lusazia i cui documenti più antichi risalgono a 2700 anni fa). Qualcuno (anche qui esagerando) ha definito questo posto la Pompei del Nord. Naturalmente non è così: ma la città fortificata è stata ricostruita con grande rigore ed è emozionante aggirarsi tra le lunghe case a canoa rovesciata e sui bastioni lignei. Il museo annesso documenta soprattutto le diverse fasi del restauro e della restituzione. Una visita assolutamente da fare (ottimo il parcheggio a 5 złoty, mentre l’ingresso ne costa 7: chissà mai dov’è il senso della proporzione).
Per il pranzo e il pomeriggio ci fermiamo a Gniezno, tutta ruotante attorno alla sua cattedrale dell’Assunta, secondo centro spirituale della Polonia dopo Częstochowa. La chiesa è abbastanza ricca di opere d’arte, ma tutta l’attenzione è per le romaniche porte di bronzo (qualcosa di questo livello abbiamo visto solo nel Duomo di Magdeburgo) che risalgono all’XI secolo e raccontano in 18 scene la vita di san Adalberto, il vescovo di Praga martirizzato prima del Mille. Passiamo la notte a Milicz, un villaggio dove la chiesa con pareti a graticcio ha un ampio e accogliente sagrato.
Siamo alle porte di Breslavia (Wroclaw) che raggiungiamo il giorno dopo.
Breslavia è una città grande (quasi 700mila abitanti), caotica, con una immensa periferia. Le rotaie del tram tagliano con mille angoli la strada che si deve percorrere e per di più tutto il centro è sconvolto da lavori in corso. Come succede per una sorta di legge ineluttabile in casi come questo, la parte da cui arriviamo noi è esattamente all’opposto di dove si trova il campeggio. Dobbiamo fermarci su una piazzola dei tram (con indulgenza di tutti) e troviamo una persona gentilissima che fa aprire una agenzia di viaggi (proprio così) che non solo ci fornisce tutte le indicazioni ma ci fa perfino una fotocopia dell’unica mappa della città che possiede. È ancora molto presto e dunque già nelle primissime ore del mattino siamo sul tram 17 (in alternativa il 9) che dal campeggio ci porta in centro. Scendiamo dal tram in Plac Dominikański, la piazza dei Domenicani con il suo faraonico centro commerciale su più piani. Subito fuori i micromercatini di frutta, alimentari, generi di vestiario: la sensazione è che la gente giri molto per il primo, ma i suoi acquisti li faccia nei secondi. La prima meta è il Rynek, la piazza del mercato, con il suo Ratusz gotico e gli ampi, animatissimi spazi che lo circondano. Qui attorno vive una città di grandi cultura e tradizione. La chiesa di santa Maria Maddalena ha un portale romanico che risale a prima del 1200. Vicino, passando attraverso due casette in stile gotico che hanno due nomi di persona (Jaś i Małgosia, cioè Gianni e Margherita) si arriva alla chiesa di santa Elisabetta. Risalendo la Kuźnicza raggiungiamo la zona universitaria, la Wispa Piaskowa e la Ostrów Tumski. È la zona delle isole a nord della città, sul fiume Odra (Oder, come siamo abituati a chiamarlo noi). Qui si fermarono nella notte dei tempi (addirittura forse 4mila anni prima di Cristo) i primi abitatori di Breslavia, qui è sorto il nucleo medievale. E qui oggi hanno sede l’università e la cattedrale di san Giovanni Battista.. Ma, su questa riva e sulle isole, la mappa delle chiese ha qualcosa di incredibile: tra romanico, ma soprattutto gotico e barocco, l’una accanto all’altra, ecco santa Maria della Sabbia (Wispa Piaskowa significa appunto isola di sabbia) con annesso un antico monastero ora sede della biblioteca universitaria, sant’Anna, i santi Pietro e Paolo, san Martino, santa Croce e san Bartolomeo, sant’Egidio che è la chiesa più antica di Breslavia. Ho la sensazione che la passeggiata diventi pellegrinaggio.
Il paesaggio aiuta: l’ansa dell’Odra è di una suggestione immensa. Il verde dei giardini, il blu dell’acqua, l’ombra dorata degli alberi nel sole meridiano. Comperiamo dei panini e pranziamo sulle panchine del parco in una nuvola di colombi e passerotti che si contendono le briciole fin nelle nostre mani. Tra i vari ambienti universitari merita una visita la Sala Leopoldina col il suo prezioso arredo rococò e la galleria di personaggi famosi. Qui si tengono congressi e avvengono le cerimonie di consegna dei diplomi di laurea. Breslavia è una città che cresce con sicurezza e serenità, verrebbe da dire. Anche qui la guerra è passata come una furia distruttrice, ma si è saputo ricostruire e far ripartire tutte le istituzioni culturali.
Ripercorriamo a ritroso la strada del mattino, verso piazza dei Domenicani. Quel centro commerciale lo vogliamo proprio visitare. Qui il lusso è assoluto, l’abbondanza di beni di consumo è la stessa che si può vedere a Berlino o a Parigi.
Il giorno dopo è ritorno. Il progetto originario di tornare per Praga salta davanti alla prospettiva di qualche centinaio di kilometri su quella viabilità disastrata. Imbocchiamo la A4, attraversiamo Jelenia Góra (col suo bel Rynek) e ripassiamo il confine con la Germania a Jędrzychowice. Direzione Dresda…