A CAPO NORD, PER LA TERZA VOLTA
ÖLAND, LA MISTERIOSA
L’ENIGMA DELLA FORTEZZA
LA CROCE CHE NON C’È PIÙ
UPPSALA E I 300 ANNI DI LINNEO
ROVANIEMI, LA CITTÀ DI BABBO NATALE
ÅLESUND, GIOIELLO LIBERTY
I GHIACCIAI DI PEER GYNT
OSLO, NEL SEGNO DI THOR HEYERDHAL
AMSTERDAM, SCOPERTA PERENNE
3 – 27 luglio 2007
Tre volte a Capo Nord.
Portato dal mal del fiordo. Da questa nostalgia inguaribile, acuta come uno spino, per i paesaggi di Svezia, Finlandia e soprattutto Norvegia. Egle, mia moglie, e una coppia di amici, Edda e Danilo, a condividere panorami e colori, emozioni e visioni. Il viola nelle mille gradazioni del licopodio che invade ogni angolo, ogni territorio. E i ghiacciai che incombono e dominano. Qui li chiamano con nomi che vengono dal mito, Tor e Odino: basta starci sotto e guardarli. Si comprende il perché e l’anima trema di gioia.
La nostalgia ha radici profonde e lontane, inestirpabili. Fatta di sensazioni, di luoghi, ma anche di arcane presenze, di misteriosi allusioni. Il paesaggio rimanda sempre in qualche modo a un altrove.
Ripenso ai pini che, simili a granatieri grigi e bianchi, presidiano il paesaggio (e dunque la vita stessa) come racconta Axel Munthe, uno scrittore svedese col quale sento affinità peculiari. Parole che scrisse nel 1931, in premessa al suo The Story of San Michele.
Un romanzo memorabile, che ha segnato la mia vita intellettuale: Nel mio lontano paese nordico, i pini e gli abeti montano ancora la guardia attorno alla mia infanzia, anch’essi un poco malridotti dagli anni, ma ancora diritti e fieri, grigi vecchi granatieri, con i capelli bianchi di neve e la brina nella barba. Gli anemoni spuntano ancora dai campi gelati… Gli elfi danzano ancora tra i fiori addormentati nel chiarore delle notti estive… I lapponi con le loro renne trascorrono ancora la loro vita solitaria nelle pianure desolate, dove il sole non tramonta.
La colonna sonora del suo narrare è una antica canzone popolare che parla di una fanciulla dagli occhi blu, morta di dolore. E poi i lupi affamati, l’orso galantuomo che un giorno gli ha sbarrato la strada nella solitaria gola di Suvla, gli uomini che sfidano la natura e la roccia scavando gallerie. Avanzano con fatica gli uomini in questo territorio di pietra. Straordinario e incantato Munthe.
La prima volta in assoluto col navigatore. Aggeggio strano, invadente e perfino un po’ petulante, circondato da diffidenza. “A me bastano carta del territorio e mappe per la città, la strada me la trovo e, insomma, me la invento io”, mi sono ripetuto mille volte prima di decidermi. Penso anche tanti altri come me.
Invece il satellitare si è rivelato un compagno eccezionale e prezioso. Affidabile in ogni occasione. Quando siamo entrati a Oslo (dove, come è noto, le autostrade attraversano il cuore della città) ci ha portato in un amen al museo vichingo che era la nostra unica meta nella capitale norvegese.
Ad Amsterdam siamo riusciti a trovare, non senza qualche fatica, il campeggio dove abbiamo sostato le altre volte che siamo stati qui. Per sentirci dire che non c’era un posto libero. E per ricevere l’indirizzo di un altro campeggio, dalla parte opposta della città: sotto un nubifragio da tregenda che avrebbe reso difficoltosa comunque la ricerca, il navigatore ci ha portato davanti all’ingresso.
E infine, sulla strada del ritorno, abbiamo dovuto prendere una decisione importante. Le autostrade tedesche sono gratuite e agevoli sì, ma pure cantieri perennemente aperti. Capita di fare anche 50 km di coda, magari sotto il sole rovente. E così è nata l’idea di attraversare la Germania per strade alternative ai grandi assi viari. Una deliziosa scoperta. Grazie proprio al navigatore e alla sicurezza che infondeva.
MARCIA DI AVVICINAMENTO (1517 KM)
Partiamo di buon mattino, martedì 3 luglio. Attraversiamo le Alpi a Tarvisio e quindi Villach, Salisburgo, Monaco, Norimberga, Würzburg. Pranzo nella graziosa cittadina di Newkirken (col suo albero della fecondità rutilante di figurine in legno e colori) e notte nel parcheggio di un supermercato a Kurnack, non distante da Würzburg. Il giorno dopo continuiamo la marcia di avvicinamento. Traghetto a Puttgarden (56 euro) e notte nel parcheggio a Farø, nello stupendo paesaggio, tra mare e terra, della Danimarca. Gli alberi sono piegati dal vento e il loro profilo reclinato si staglia nel cielo che imbruna. Sul prato alle nostre spalle gli uccelli di bronzo (opera dello scultore Ylapanis) sembrano sfidare il vento, leggeri e filanti. Immagine di questa terra e della sua gente. Il ponte che copre il braccio di mare, chiude l’orizzonte sulla destra.
Al mattino seguente sfruttiamo i servizi (gratuiti) per rifornirci e partiamo per Malmö.
DA YSTAD A ÖLAND (VIA KARLSKRONA, 1059 Km)
Ci aspetta il ponte (un po’ tunnel, un po’ sospeso) che unisce Jutland a Scandinavia. Lo passiamo (245 corone danesi) sotto pioggia battente e col vento che letteralmente sposta il camper. La nuvolaglia che ci avvolge impedisce di godere del paesaggio.
La prima tappa è Ystad che ha un ampio parcheggio gratuito (si paga un centinaio di corone se ci si ferma anche la notte, con possibilità di allacciarsi alla corrente) presso il porto. Ystad è tutta attorno alla sua via principale, la Stora Östegagatan, su cui si affacciano le belle e antiche case a graticcio. Il Pilgrändsgården, anticamente il magazzino che riforniva tutta la città, è il più vecchio edificio a graticcio di tutta la Scandinavia.
Imponente è la chiesa gotica dedicata a san Pietro, col vicino convento francescano. Su un lato della Stortorget, la piazza principale, sorge una chiesa romanica, dedicata a santa Maria, davvero bella nel contrasto tra coro gotico e arredo barocco. Dalla parte opposta una vera e proprio curiosità è rappresentata dall’antica farmacia. Si tratta di una fabbrica in legno che risale al 1600 e conserva arredi d’epoca.
Ci aspetta l’orgogliosa Kalskrona con i suoi edifici neoclassici (è stata quasi del tutto distrutta da un incendio nei primi anni dell’800 e poi ricostruita), base della flotta militare svedese e in fondo ad una baia disseminata di isolette.
La città stessa sorge su una trentina di isole, collegate da ponti. Prima la statale 19 e poi la E22. Il porto offre un ampio parcheggio (trovo anche un rubinetto per rifornirmi d’acqua). Un attimo prima del tramonto ci passa davanti un antico veliero. A prua reca un nome di grande suggestione, quello di J.R. Tolkien. Immaginiamo porti lontani, approdi brumosi, avventure ed enigmi. Questa è gente che guarda sempre il mare. L’immagine dell’ancora torna ovunque. Il giorno seguente visita alla città.
Il centro è animato e nella piazza centrale è giorno di mercato. Ci sorride la venditrice di fragole e il fabbricante di ceste sembra voler spartire con noi il segreto di un’arte semplice e secolare. Sfronda i rami che ha con sé, toglie la corteccia col suo coltello, intreccia con mani abili che sembrano lavorare per conto loro. Intanto chiacchiera con noi.
Siamo sull’isola di Trossö, la più grande di Karlskrona: domina la statua di Carlo XI. Irriverente, un gabbiano si riposa sulla testa del re che ha fatto grande, sul finire del 600 (lunghissimo il suo regno: 1660-1697) la Svezia regalandole un lungo e fruttuoso periodo di pace e risanando le finanze del paese. Sui lati della piazza il Rädhuset (il Municipio cioè), caratterizzato dal pronao classico, e due chiese, la Fredrikskyrkan e la Trefaldighetskyrkan. Sono imponenti e risalgono al primo 700, incuriosiscono per gli influssi chiari qui esercitati dal barocco romano.
Nella prima un putto, con la clessidra in mano, ammonisce dal pergamo i fedeli che il tempo fugge. E naturalmente suggerisce al predicatore che l’omelia più di tanto non può durare. Si vede spesso, qui in Scandinavia, questa figura.
La seconda chiesa ha una cupola in legno a imitazione del romano Pantheon e ospita le spoglie mortali del maresciallo Wachmeister, artefice della prestigio militare di Karlskrona e del suo grande porto. È proprio una bella giornata di sole ed è un piacere seguire le isole, stendersi sulle nere scogliere di granito tra corvi e gabbiani, ammirare i giochi d’acqua. Magari affidandosi a traballanti passerelle.
Nel pomeriggio partiamo per Kalmar, la più antica città marinara della Svezia. Qui, nel 1397, Svezia, Norvegia e Danimarca firmarono un trattato che di fatto unificava i tre territori in un unico regno sotto la corona di Enrico VIII di Pomerania. Città nobile, dai predominanti tratti barocchi. E porta di quel “mondo diverso” che è l’isola di Öland.
Intanto visitiamo le due piazze della cittadina. Sulla Stortorget sorge il Rädhuset che richiama architetture viste in Olanda. La Lillatorget è più piccola e intima. Fontane moderne e palazzi antichi, in un miscuglio di ottimo gusto. Il cuore vivo di una città simpatica, allegra, indaffarata. Anche le visite ai centri commerciali aiutano a conoscere.
L’appuntamento di rigore è però con lo slott, il castello che sorge al centro di un parco. È il regno incontrastato di uno stuolo imperiale di anitre e anche di alberi secolari: ontani, tuie, betulle, querce, olmi… Tronchi contorti e imponenti, cappelli immensi di fronde. Le anitre camminano con atteggiamento altero, autentiche principesse dei prati verdi attorno al canale che circonda il castello. Un idillio.
Invece proprio il castello è una delusione. Possente tra i suoi contrafforti erbosi con i cannoni antichi a fargli da guardia, non ha molto di interessante al suo interno. Insomma non vale le 75 corone del biglietto.
Meglio sedersi su una panchina del parco e farsi trasportare dalla memoria. Restano negli occhi le sette possenti torri con la copertura ad elmo. Il nucleo più antico risale al 1200 e nella sua storia ha sostenuto decine e decine di assedi. Ed ha avuto, nei secoli, gli impieghi più diversi: distilleria reale e prigione, ad esempio. Le segrete, anzi, sono ancora visitabili.
Avevamo trovato un comodo parcheggio proprio a due passi dallo slott ed è da qui che ci muoviamo per affrontare l’Ölandsbron, il ponte che fu, con i suoi 6072 metri, nell’anno della costruzione (1972) il più lungo d’Europa.
È il trionfale ingresso nell’isola di Öland. La sera la trascorriamo in riva al mare, alla periferia di Borgholm, la piccola (tremila abitanti, tutta la città ai due lati dell’unica via) capitale dell’isola. Graziosa, si rivelerà, nella visita del mattino seguente: clima mite e splendida posizione panoramica ne hanno fatto una ricercata stazione balneare.
ÖLAND, LA MISTERIOSA
Öland è un’isola misteriosa e bella. Forse il luogo di più profondo fascino di questa parte d’Europa. La gente è simpatica, vociante. Capitiamo nel bel mezzo di una fiera in cui si vendono trattori di seconda mano: pare proprio di stare a casa nostra, una sagra. A Borgholm un uomo di mezza età ci chiede una spinta per la sua macchina che non vuole saperne di partire. Chiacchieriamo.
Un continente a sé, tutto da esplorare. Un “mondo altro”, come la definì Linneo (tra qualche ora, a Uppsala, saremo letteralmente travolti dalla memoria del grande naturalista: nel 2007 si celebra infatti il terzo centenario dalla nascita).
Öland è una sottile linea di granito scuro, lunga 140 km e mai larga più di 16. Terra dura e avara, e tuttavia non mancano le foreste di pini argentati, di betulle e lecci, di abeti bianchi e rossi. E Linneo vi ha catalogato 32 specie diverse di orchidee.
Ai bordi delle stradine fiorisce il cumo, dalle piccole bacche dolci e piccanti insieme. Buono per la grappa e per l’aceto. Da queste parti ci fanno un formaggio dal gusto squisito e irripetibile.
Terra selvaggia, anche, dal sapore medievale. I muretti a secco, le fattorie e i recinti per i cavalli (qui se ne vedono di tutte le razze, mescolati in indecifrabili discendenze), le rovine antiche suggeriscono un tempo che non è più. Ad ogni svolta di strada un mulino a vento, col suo bravo timone per orientarlo in direzione del soffio. Ce ne sono ancora 300 nell’isola, ma ne furono censiti ben 2000 nel 1850. E i brividi che si provano nella fortezza di Ismantorp…
Prima di entrare in Borgholm ci fermiamo vicino al grande castello fortificato. Risale agli ultimi anni del 1200 ed è più volte stato distrutto e ricostruito. Ora è in attesa di restauri dopo il terribile incendio che lo ha devastato 200 anni fa.
Sempre nelle vicinanze della capitale, proprio in riva al mare, i resti della Kappelludden, un edificio sacro dedicato a santa Brigitta. Un triangolo di pietre e sassi contro il cielo, silenzio e solitudine ovunque. Fino a qualche tempo fa sorgeva dal terreno una gigantesca croce in pietra. Dal 1300, per secoli, ha sfidato tempo e intemperie. Ma proprio nell’inverno scorso il peso della neve l’ha spezzata. Ora è in un museo per restauri.
Ismantorp: un borgo di poche case. Bisogna lasciare il camper e inoltrarsi nel sentiero che penetra la foresta di pini. Ad un tratto una spianata ed eccola lì davanti a noi la misteriosa fortezza di pietra nera.
Ha un perimetro circolare di più di 400 metri e vi si accede da 9 porte. Al suo interno tracce di ben 88 insediamenti diversi. Risale forse al quarto o quinto secolo dell’era cristiana. Certamente un luogo di difesa, ma forse anche sede di cerimonie e di incontri. Nessuno ha ancora studiato a fondo la fortezza di Ismantorp, ma l’emozione che mi reco nell’anima è in assoluto la più viva di questo viaggio: qui ha vissuto un popolo duro e fiero, qui si sono succedute generazioni di guerrieri, qui hanno regnato morte, paura e speranza. Battaglie e pace, lavoro e guerre. Se chiudo gli occhi sento urla e voci. Le pietre vibrano ancora della misteriosa memoria millenaria.
Al mattino seguente partenza per la vicina Uppsala (157 km).
UPPSALA, NELLA MEMORIA DI LINNEO
Uppsala è dolce e addormentata. È una domenica il giorno del nostro arrivo, prime ore del mattino, dal cielo di piombo una pioggia fina e insistente. Approdiamo al parcheggio dell’università tra Luthagseplanden e Kyrkogätan.
Il posto giusto per fare base, il parcheggio per 24 ore costa una cinquantina di corone. Già, e la moneta per il ticket? Non mi perdo d’animo e fermo, all’incrocio vicino, qualcuno dei rari automobilisti in transito per cambiare le banconote. Qualche perplessità, poi sorrisi e disponibilità. Risolvo in pochi minuti.
Uppsala ci attende. Bella, viva, pulsante attorno all’università e alla sua cattedrale neogotica, la Domkyrkan, che ha avuto storia travagliata con ben cinque incendi devastanti e altrettante ricostruzioni. Risale agli ultimi anni del XIII secolo e ci accoglie, al sommo di un’ampia scalinata, col suo formidabile portale adorno di sculture del XV secolo. A essere privilegiato è il vangelo con raffigurazioni dell’Annunciazione e della Flagellazione. L’interno, a tre navate sorrette da nervosi piloni a fascio, è imponente.
Le cappelle laterali, nel tempo, sono state destinate ad uso funerario: qui c’è tanta storia svedese. Restano negli occhi le immagini di re Gustavo Vasa con le sue mogli e di re Giovanni III. Accanto a lui dorme la sua bellissima compagna, la polacca Caterina Jagellonica.
Ma qui tutto suggerisce il nome e l’immagine di Carl von Linné: un fiorista (abbastanza ovvio, del resto), il centro commerciale e perfino una pizzeria. Il grande naturalista pubblicò (11 pagine in folio, fondamentale la decima edizione tra il 1758 e il 1759, che nel museo a lui dedicato ammiriamo in originale) il Systema Naturae, opera che ha fondato la nomenclatura scientifica del regno animale.
Linneo è nato a Råshult (300 km da qui, nello Småland, regione di grandi laghi) nel 1707. Approdato ad Uppsala, divenne professore di medicina teorica e pratica, fu fatto nobile e costruì un miracoloso (data la latitudine e il clima) giardino botanico. Oggi lo visitiamo (50 corone, per gli appassionati una sorpresa continua) assieme alla sua casa trasformata in museo: un gioiellino delicato. E per entrare bisogna mettersi la pattine sotto le scarpe.
Nel pomeriggio spunta il sole e passeggiamo nel parco, lungo il Firysån. Barconi attraccati, di ogni età e anitre che si fanno accarezzare dalla corrente delle cascatelle sotto i ponti.
Con una sorpresa: capitiamo, in un piccolo e funzionale stadio, nel bel mezzo di una riunione di atletica leggera. Capiamo che deve essere una sorta di competizione per società sportive, perchè tutte le gare vedono la partecipazione di atleti di ogni età. Con passione, senza pressione. In allegria e impegno.
Grande cultura sportiva da queste parti, da invidia. Ad un certo punto del viaggio mi sono messo a contare i campi da golf che si incontrano lungo la strada. Ho smesso per disperazione: anche 2 o 3 in una decina di km, tutti curati e frequentatissimi.
Chiudiamo con la visita al formidabile castello, lo Slottet, iniziato da Gustavo Vasa nel 1549. Domina la città ed è circondato da cannoni che recano sull’affusto una data fondamentale per il Vecchio Continente: 1789. Davanti, nell’ampio giardino, manda i suoi rintocchi Gunilla Bielke, la campana che fu recata in dono dalla seconda moglie di Giovanni III e che suona ogni giorno alle 6 e alle 21, proprio in memoria dell’amata regina.
Il giorno seguente sempre di buon mattino, siamo a Gamla Uppsala, il nucleo storico (oggi è un minuscolo villaggio, ma in epoca vichinga prima e medievale poi è stato centro importante) da cui sono venuti i fondatori dell’attuale Uppsala. Importante è l’antica cattedrale, il Dom con il suo campanile in legno che sorge un po’ discosto dalla chiesa, in mezzo al verde di un curatissimo cimitero. I circostanti antichi tumuli funerari, solo in parte scavati ed esplorati, coprono un periodo che va dal V al IX secolo, dunque l’epoca del massimo splendore dei vichinghi. Qui dormono alcuni dei loro re. La nostra prossima meta è Lövånger, sulla E4.
DA UPPSALA A ROVANIEMI (1080 Km)
Si sta a lungo in camper, ma la strada non è monotona. La viabilità svedese ha fatto davvero passi da gigante: il mio primo viaggio a Capo Nord risale al 1998 e i progressi sono evidenti. Il circolo polare artico dista ancora più di 1000 km.
Passiamo la notte a Sävar, un paesino tranquillo, proprio nel piazzale. E il mattino seguente siamo a Lövånger. Lungo la strada il panorama è davvero padrone dei nostri occhi: laghi e foreste, mentre trascorriamo di fiordo in fiordo.
Lövånger è un villaggio di 3mila anime che vivono attorno alla bella chiesa del secolo XV. Ma qui l’attrattiva è data dalle stugor, le casette in legno che servivano da ricovero ai parrocchiani che dovevano affrontare lunghi viaggi per partecipare alle cerimonie comunitarie come matrimoni e battesimi. Qui ce ne sono ben 164 (con 400 posti letto, una sorta di ostello della gioventù): un vero, delizioso miracolo di abitabilità e funzionalità in pochissimi, essenziali metri quadri. Due stugor di legno scuro ci ricordano che la storia di questi pellegrinaggi è antichissima e che la religiosità ha da queste parti radici profonde.
Riprendiamo la E4 e raggiungiamo Haparanda, sul confine con la Finlandia. C’è un monumento ai caduti. Questa è stata, durante la prima guerra mondiale, l’unica porta tra Russia e il resto d’Europa. Qui avvenivano gli scambi di prigionieri.
Passiamo il confine sul fiume Torneälven (Tornionjoki per i finlandesi) e raggiungiamo il villaggio di santa Claus, a nord di Rovaniemi.
Qui è natale tutto l’anno ed è difficile sottrarsi alla suggestione.
Comperiamo regalini. Ci sono renne con sonagli appesi, davvero belle e risolviamo il ricordo per ognuno dei nostri cari. Per Miriam, mia figlia, ecco un bellissimo troll in miniatura dalla faccia stralunata e dai capelli impazziti. Io non mi sottraggo al fascino di un cappello in feltro verde a larghe tese. Lo indosserò mai?
Il villaggio di Santa Claus è attraversato dal Circolo polare artico, segnato per terra ed è obbligatorio farsi fotografare con in piede di qua e uno di là.
Babbo Natale ci guarda da ogni angolo. Dalle vetrine dei negozi e dall’ufficio postale da cui è possibile mandare una cartolina chiedendo che sia recapitata nei giorni che precedono il Natale. Nel parco circostante giocano gli scoiattoli, indisturbati e tranquilli. In un tendone che sbuffa fumo dall’apertura, la mano esperta di un taverniere sparge abbondante sale sui filetti di salmone e si appresta ad asciugarli alla brace.
Danilo, famoso per avere l’occhio cui nulla sfugge (se c’è una monetina per terra la vede lui; più avanti, in Norvegia, gli capiterà di trovare un vecchio ma bellissimo binocolo) si avventura nel bosco e trova un portafogli. Contiene qualche centinaio di euro e documenti, carte di credito comprese. Lo portiamo all’ufficio postale dove, proprio il giorno prima, un francese aveva denunziato lo smarrimento. Lasciamo il portafogli e i nostri dati. Le ragazze dell’ufficio ci dicono il loro grazie sorridente regalandoci una candela natalizia e telefonano la buona notizia allo smarritore.
Che naturalmente non si fa vivo in alcun modo. Sarebbe bastata una parolina. Non importa, ovvio, mica si è onesti per sentirsi ringraziare. E la prima notte di tutto sole, lì tra i pini e gli scoiattoli di Santa Claus, è, come sempre, emozionante.
CAPO NORD (688 Km)
Subito a nord di Rovaniemi comincia il tratto di strada più difficile, la 92 per andare a prendere la E6, in Norvegia. Una ottantina di km di strada strettissima e in continuo saliscendi. Salite ripide e avvallamenti profondi. È l’unica bretella di collegamento e capita di incrociare pullman e camion. Acrobazie, soprattutto in prossimità del cucuzzolo dei dossi a visibilità zero. Sembra di stare fuori del mondo e viene spontaneo, guardando le rarissime case, pensare che qui l’inverno genera grandi depressioni. O forse no, in certi posti si è quasi vocati a vivere.
In Norvegia sfioriamo la parte meridionale del lago di Inari. Su una delle tante spiaggette, tra pini, scogli e acque, ci fermiamo per il pranzo. Tiro fuori il barbecue e preparo una grigliata di carne. La pace e la gioia.
Passiamo la notte a Lakselv nello Skoganvare turist camping (180 corone per una notte).
Siamo in riva ad un lago e il paesaggio è straordinario. Ma c’è un nemico terribile da cui difendersi: le voraci zanzare e altri insetti volanti che entrano da ogni fessura. Davanti a noi due pescatori preparano lenze e canne per la battuta di pesca al salmone. Sono di Oslo e dal loro berretto scende una retina che difende il volto. Come la celata sull’elmo di antichi guerrieri: hanno ragione, nonostante la nostra perplessità iniziale, e li invidiamo. Parliamo di esche buone e posti privilegiati. Contro le zanzare è guerra davvero, senza speranza. Tuttavia la notte in riva al lago è straordinaria. Il sole dorato bacia le onde.
Capo Nord è raggiunto il giorno dopo, giovedì 12 luglio alle 12 e 15. Sarà avaro di soddisfazioni: ci arriviamo in un mare di nebbia e il sole farà la sua comparsa solo a brevi tratti. Gli ultimi 200 km non sono stati facili. Il maltempo si è aggiunto alle difficoltà di una strada stretta e tortuosa.
Quando passiamo il tunnel a pagamento per raggiungere l’isola di Magerøya, dove si trova NordKapp, siamo davvero stanchi. Le gallerie sono lunghe, tortuose e strette. Scavate nella roccia e male illuminate. La Norvegia, a differenza della Svezia, non ha migliorato in nulla la proprio viabilità.
E, di contro, resta il paese con le strade più care. Si paga ovunque e sempre. Ponti, tunnel, tratti (rarissimi) a doppia corsia, ingresso in molte città. Uno stillicidio di corone ad ogni passo.
Come è noto, la stessa permanenza nel parcheggio di Capo Nord costa 195 corone a persona (per 48 ore).
Ed è nazione carissima, come apprendiamo nei supermercati e in ogni negozio. Danilo ed Edda, ad Älesund, dovranno cambiare i ferodi dei loro freni. Cortesia e disponibilità in una grande officina: sono pieni di lavoro e richiamano un meccanico per metterci in condizioni di partire. In poco più di mezza giornata ce la caviamo, ma il conto supera gli 800 euro. Una sberla.
Tuttavia Capo Nord merita sempre la fatica di raggiungerlo. Camminiamo sulle scogliere a strapiombo, guardiamo il film in cinerama realizzato qui da un regista di origini italiane, Ivo Caprino (é nato ad Oslo nel 1920 ed è morto nel 2001), seguiamo il volo dei gabbiani.
Vento e nebbia anche il giorno dopo quando iniziamo la via del ritorno.
NARVIK, BODØ, MO I RANA, TRONDHEIM (1719 Km)
Prima di lasciare l’isola di Magerøya, ne visitiamo Honninsvag. La piccola capitale, tra scogliere e collina, con il suo porticciolo e le case di legno colorate, è suggestiva e di grande fascino. Pranziamo sul continente presso l’Alta River. Un ponte sospeso in corde di foggia tibetana attrae la nostra attenzione: acque impetuose, cascate, vallate dalle pareti vertiginose. Qui la natura è aspra e bellissima. Incontriamo di continuo torrenti tumultuanti di schiume candide.
Nel pomeriggio visitiamo Alta, la piccola capitale di uno stato che non c’è, la Lapponia. Il popolo Sami vive qui, nel grande Nord e la loro nazione ha una identità precisa, anche se li si vede solo per i loro accampamenti in cui vendono tutto quello che si può trarre dalla renna: pelli, trofei di corna, posate con i manici in osso. E poi i loro tradizionali costumi. Tutto sa di antico, ma si paga con la Visa.
Nella piazza principale una statua in bronzo ci rammenta il duro lavoro di molti operai di queste parti, i cavatori di pietra.
In un fiordo vicino ad Alta si può ammirare, passeggiando in riva al mare, uno spettacolo unico al mondo. Sono le pitture rupestri per lo più di colore rosso acceso che risalgono addirittura al sesto millennio prima di Cristo. Sono oggetto di studio e sembrano alludere a lontane migrazioni da paesi estremi dell’Asia. Omero abita qui, questa è una immensa Odissea rupestre.
Guerrieri ed eserciti, navi e rematori, assalti e battaglie. Il segno è scarno, essenziale. Il mito che diventa storia e, anzi, cronaca grazie allo scalpello del lapicida che ha graffiato ricordi sfidando i secoli. Suggerisce rotte difficili e perigliose, terre ostili da colonizzare, destini sfidati. Il cuore vivo della memoria.
Seguiamo la E6 e passiamo la notte in una insenatura, vicino al paesino di Talvibukta. Paesaggio stupendo. Pasteggiamo con gamberoni (il pesce, almeno quello, qui costa poco) e prosecco.
Scendiamo di latitudine e lungo la strada la vegetazione comincia a crescere, a farsi più importante. Vediamo davanti a noi immensi ghiacciai. In un saliscendi continuo seguiamo il corso di infiniti torrenti.
Narvik ci riserva il comodo parcheggio per turisti a due passi dal centro. Sulla costa di montagna che abbiamo di fronte la foresta sembra attraversata da colpi di pettine perchè il verde cupo degli abeti è solcato da quelle che d’inverno sono le piste da sci. Ricordavamo una città animata e attiva, ma arrivare di sabato e dopo le cinque, come capita a noi, è una mezza tragedia. Tutto chiuso e vie morte. Nella passeggiata antico e moderno stanno vicini. Una affilata piramide di acciaio sorge a pochi metri dal vecchio ufficio postale in legno.
Al mattino seguente trovo, sulla strada verso Trondehim, un negozietto di antiquariato. La proprietaria è un bellissima signora, Camilla Mikkelsen: vedo un macinino da caffé per la mia collezione, contratto con lei e naturalmente ci mettiamo d’accordo.
Non c’è inglese che tenga per chiedere il little discount, il linguaggio della contrattazione è universale e funziona a gesti. Un gioco delle parti: il venditore sa (da come tieni in mano l’oggetto che hai scelto) che tu chiedi lo sconto ed è preparato a fartelo, tu torci il naso e abbassi ancora un po’ il prezzo. Non di tanto, una cosa giusta: l’affare è concluso in pochi minuti.
A Skagerbet la E6 è interrotta da un fiordo e per raggiungere Bognes bisogna prendere il traghetto. 111 corone e nell’attesa troviamo anche di che rifornirci d’acqua. Dal ferry in arrivo scende un solitario ciclista che inalbera una bandierina tricolore. Gli chiedo, urlando nel trambusto dei motori e del sali e scendi, di dove sia. Di Bergamo.
A Fauske deviamo verso Bodø e Saltsraumen per andare a godere dello straordinario spettacolo del mæstrølm, il grande giro d’acqua che ogni sei ore si sposta alternativamente verso il mare e verso l’interno del fiordo profondo. È il paradiso dei pescatori cui basta gettare l’amo nel fluire di milioni di pesci.
E non solo dei pescatori. Ci sono le tabelle per sapere quando il fenomeno che si manifesta con grandi gorghi raggiunge il suo massimo. Non servono. Basta osservare i gabbiani. Si preparano immobili sui lampioni del grande ponte che valica il fiordo e, al momento giusto, si tuffano verso il basso. Sfiorano l’acqua urlando e comincia l’abbuffata. Il mæstrølm ha ispirato scrittori come Jules Verne (in 20mila leghe sotto i mari). Ed Edgar Allan Poe, che lo studiò al largo delle Lofoten, ne ha fatto addirittura la metafora di un viaggio iniziatico, una discesa negli inferi. Poe confessa che in mezzo all’uragano e al turbinare del mæstrølm ha desiderato di morire pur di poter esplorare la magmatica bellezza di quella profondità: era l’ora della tregua ma il mare si alzava pur sempre in montagne d’acqua, racconta.
Merce buona anche per chi sostiene che Ulisse/Odisseo fosse un eroe baltico: il mæstrølm altro non sarebbe che il gorgo di Cariddi.
Attraversiamo il ponte, imbocchiamo la 812 e ritorniamo sulla E6. Notte a Mo i Rana, la cittadina laboriosa che possiede un bel museo sulla storia della gente di qui (è ancor oggi importante centro minerario) e sui lapponi.
Non contiamo i ponti a pagamento e i tratti a due corsie (sempre a pagamento) che precedono Trondheim. Qui però troviamo la sorpresa di un’ampia area camper con scarico e rifornimento d’acqua. È un po’ distante (3 km) ma in posizione strategica (sulla Jarleveien alla fine della Håkon Magnussens gate). Visitiamo il centro prima in bici (nella serata di arrivo) e poi a piedi, il giorno seguente.
Imperdibile la Domkirke, la cattedrale gotica che viene considerato il più importante monumento medievale dell’intera Scandinavia. L’ingresso costa 50 corone e dà diritto ad una visita guidata. Non in italiano, ahimé, scegliamo quella in francese. La nostra guida si chiama Gaelle ed è prodiga di informazioni. Alla fine ci regala una brochure con notizie in italiano sulla cattedrale.
La spiegazione di Gaelle spazia su tutta la storia di questa parte d’Europa. Le origini cattoliche, poi (con la Riforma, che assieme ad una serie di incendi determinò il declino della cattedrale), l’abbandono e infine la ripresa e la ricostruzione, in coincidenza con il risveglio del sentimento nazionale norvegese, nel 1869. In questa chiesa sono stati incoronati sette re e tre regine. Alle 13 e alle 18 il biglietto consente di ascoltare un breve concerto (una ventina di minuti) da uno dei due organi (quello barocco di recente restauro). Da visitare, a lato della chiesa, l’antico palazzo vescovile, ora sede museale.
Il centro di Trondheim è arioso e simpatico. Vi troviamo un affollato ufficio informazioni prodigo di stampati. Proprio lì vicino la Stiftsgård, costruito nello stile rococò dei castelli di campagna francesi e, dal 1800, residenza estiva dei reali. È il più vasto edificio in legno della Norvegia e la visita alle 70 stanze dell’interno prevede anche guide che parlano italiano. Qui vicino si incrociano i canali con le case colorate che si specchiano nell’acqua.
Nel pomeriggio puntata sulla collina che sovrasta Trondheim. Vi sorge il palazzo dell’università, immerso in un verdissimo parco e nella quiete assoluta.
ÅLESUND, LA BELLA (285 Km)
Ålesund ha nel suo stemma una vela spiegata e una chiglia che sfida i marosi. È il più importante porto peschereccio della Norvegia. Aringhe e merluzzi, soprattutto. Si capisce che gli uomini di qui hanno un rapporto duro e vitale col mare. Lo amano, ne traggono di che vivere.
Vi arriviamo percorrendo la E39 (a pagamento, più volte perchè si percorre anche un tunnel). Ad Halsa serve prendere ancora un traghetto (94 corone). La strada è molto stretta e difficile. Paghiamo 92 corone il ponte al bivio tra Kristiansund e la E39. Ancora un traghetto tra Molde (città famosa per il suo festival del jazz) e Vestnes (130 corone).
Fondata nel 1848, Ålesund subì un disastroso incendio nel 1904. Tutte le vecchie case in legno andarono in fiamme. Nel fuoco morì una sola persona. Un segno del destino, una voglia di rinascere già segnata. La laboriosità di questa gente ripartì immediatamente a ricostruire. E nacque la Ålesund che possiamo ammirare oggi. Una cittadina, stretta attorno al suo porto, tutta in uno stile liberty coloratissimo, gioioso e, ad un tempo, discreto. A due passi dal porto cominciano i 412 gradini che portano alla Fjellstua, la terrazza panoramica che domina la città e l’intero fiordo. Una tappa da non perdere per chi viene da queste parti.
Passiamo la notte nel porto. A due passi dal centro e proprio sulla scogliera in riva al mare, è stata predisposta una efficientissima area di sosta. 16 corone all’ora ma 160 per un giorno intero: acqua, scarico, servizi pulitissimi e docce. Una sistemazione magnifica.
LA STRADA DEI GHIACCIAI (372 Km)
Al mattino seguente i freni di Danilo cominciano a dare fastidio. Troviamo una officina con botta finale del conto salatissimo. Ci muoviamo vero le 16, destinazione Skei: E39 in direzione Bergen. La strada si ferma di continuo sui fiordi. Tre i traghetti che dobbiamo prendere: da Solavagen a Feste (87 corone), da Volda a Folkestad (81 corone), da Lote ad Anda (74 corone).
Ci attende la mitica strada dei ghiacciai dai panorami irripetibili. Da queste parti Henrik Ibsen faceva compiere a Peer Gynt le sue mariuolerie.
A Skei si prende la strada 5 per Sogndal. Ci fermiamo per fotografare le cascate impetuose formate dai torrenti che escono da una propaggine del ghiacciaio Jostedalsbreen. In serata arriviamo a Fiærland, sede del Norsk Bremuseum.
Lo visitiamo al mattino seguente (45 corone). Davvero efficace e ben organizzato. Con l’ausilio di proiezioni computerizzate ed esperimenti dal vivo si apprendono la storia dei ghiacciai e l’evoluzione del clima. Si parte dalla nascita dell’universo e dalla sua trasformazione e si arriva ad uno sguardo preoccupato sulle risorse del pianeta. Angosciante il telegiornale di un giorno futuro (ma non distante) con immagini della Terra avvolta nel buio, priva di energia, preda del clima impazzito.
Sulla strada paghiamo un pedaggio di 160 corone e a Sogndal imbocchiamo la 55 che è la strada dei ghiacciai vera e propria.
E tuttavia il cuore e l’istinto ci dicono che c’è una deviazione da non perdere. Nel villaggio di Hafslo imbocchiamo la ripida discesa verso il Lustrafjord. Incrociamo veicoli che abbiamo visto solo da queste parti: metà pullman e metà camion, merci e passeggeri insieme per tenere i collegamenti tra località piccole e centri maggiori. Fungono un po’ da tutto, perfino da corriere postale.
Al minuscolo imbarcadero di Solvorn (un incanto: stradine strette, muretti a secco, orticelli favoriti dal clima dolce del fiordo) lasciamo il camper e ci imbarchiamo sul traghetto per Urnes (108 corone, andata e ritorno per due persone), dall’altra parte di questo splendido braccio di mare. Il traghetto è poco più di uno zatterone, essenziale, spartano anzi. A metà del tragitto, nel sole abbagliante del meriggio, il fiordo è un fondale di teatro con le quinte messe una in fila all’altra. Profondità assoluta, i colori delle casine allineate lungo la riva dietro i piccoli moli, la brezza lieve che spira verso terra, il verde scuro delle onde.
La chiesetta in legno di Urnes (45 corone l’ingresso con visita guidata in inglese) vale l’arrampicata verso la cima della collina che sovrasta il fiordo. Un km con il cuore in gola. È la più antica e la più decorata chiesa in legno della Scandinavia, forse dell’intera Europa. I tronchi per costruirla furono abbattuti tra il 1129 e il 1130.
Era un edificio di grande prestigio e la gente si muoveva anche di lontano per partecipare ai riti, affrontando pericolose attraversate del fiordo. Qui si celebrava già prima che la Norvegia fosse dichiarata cristiana. Mercanti, pescatori, contadini avevano su questa collina il loro centro spirituale. Le particolari tecnologie costruttive (fondamenta e zoccolo in legno, stagionatura degli alberi in piedi per permettere il deflusso delle resine) hanno preservato la chiesa nel tempo. All’esterno sono intagliati enigmatici fregi che alludono al peccato e ai contorti itinerari dell’umana esistenza. Straordinari.
L’interno (fotografie rigorosamente vietate) presenta panche policrome e i curiosi stalli dove sedevano le due più prestigiose famiglie del posto. Su tutto dominano il pergamo e il ballatoio.
Ritorno con lo stesso traghetto, comincia la scalata verso il regno dei ghiacciai. La strada è ripidissima (a occhio ci sono pendenze che sfiorano il 20 per cento) e così stretta che, quando si incontrano veicoli che vengono in senso contrario, si è costretti a lunghe manovre. Trovare un pullman su un tornante, come è capitato a noi, vuol dire giocare coi millimetri e con freno e frizione per mezzora.
Ma che spettacolo: ghiacciai, nevai, torrenti in formazione, cascate. Il bianco e l’azzurro cobalto. Il cielo e il ghiacciaio in un gioco di specchi unico. La suggestione è assoluta. Qui il cuore batte forte e incontra una dimensione metafisica. Nei valloni qualche ardimentoso aspetta la notte (si fa per dire, data la latitudine) in tendina. Francamente provo un po’ di invidia.
Scendiamo, con qualche nostalgia, verso Lom. Da questa parte la strada è un po’ più agevole e in questo importante snodo viario passiamo la notte nel cortile della cattedrale in legno, altra straordinaria costruzione che fa il paio con quella appena ammirata ad Urnes. Qui i rifacimenti moderni sono più evidenti. Dagli acroteri ci osserva, bellicoso, il volto di un drago. Lo stesso, certo, che rendeva orribile alla vista la prua delle navi vichinghe. A Lom si può visitare anche un bel museo etnografico, lungo le stradine sulla costa della montagna.
OSLO CON THOR HEYERDAL E I VICHINGHI (614 Km)
E15 fino ad Otta, poi E6 fino ad Oslo. Conosciamo già bene la capitale norvegese, ma nel sessantennale del Kon Tiki volevamo in qualche modo esserci. Nel 1947 Thor Heyerdhal realizzò il suo sogno, mettere in mare una zattera che volle battezzare col nome di Kon Tiki, il dio inca del sole: a suo dire era la stessa cosa del Tiki polinesiano. Navigò tra Perù e Polinesia per dimostrare le ancestrali parentele di quei popoli. Morto cinque anni fa, Heyerdhal è sicuramente l’eroe moderno più amato dai Norvegesi.
Noi lo ricordiamo nel suo museo (c’è anche il Ra II) e con una visita al Vikingskipshuset, nel sobborgo di Bygdøy (ingresso 50 corone, dietro ha un comodissimo parcheggio per camper). Le regine, corteggiate, ammirate e fotografate, sono tre navi vichinghe, perfettamente integre. Sembrano in procinto, con la prua ardita e affilata, di riprendere il mare da un istante all’altro. Passo una mano sui fregi lignei e sul fasciame perfettamente connesso. La perfezione assoluta. Non sono state ritrovate nell’acqua e poi restaurate, ma semplicemente recuperate da tre grandi tumuli funerari. Di fatto sono il sepolcro di tre re vichinghi, inumati quasi 1200 anni fa.
Nel museo sono esposti altri reperti emersi dalle tombe. Tutti oggetti che dovevano accompagnare gli intrepidi condottieri nel regno dei morti. L’ultima rotta. Barche, slitte, tessuti, armi e strumenti. Il pezzo più prezioso è un carro. Curioso: manca il timone e di fatto non poteva sterzare. Si è ipotizzato che fosse un veicolo sacro usato solo durante cerimonie nella via principale.
Riprendiamo la strada sulla E18 per tornare in Svezia, a Gøteborg.
Gli ultimi pedaggi li paghiamo a Moss e (quando ormai pensiamo che il vampiro sia sazio di succhiare e di non averci più a che fare) a pochi metri dal confine. Abbiamo bruciato gli ultimi spiccioli al distributore, in gasolio, come si fa sempre per eliminare moneta. Ci tocca pagare le ultime venti corone con la carta di credito.
La notte è già in Svezia, a Støra Hoga, in riva al mare.
Due bambini giocano sulla spiaggia lunga. In lontananza isolotti nella luce vivida del sole che non vuole tramontare. Pronti a partire per la Danimarca e l’Olanda.
AMSTERDAM, LA VIVA (1301 Km)
Traghetto ad Helsinborg per Helsingorf (come al solito scegliamo le Scandlines, 310 corone), poi il lungo ponte sospeso verso Odense (altre 310 corone) e sosta notturna nel bel porticciolo di Schleswig. Ci attende lo Jutland e, a Flensburg, il rientro in Germania. A7, E45 fino ad Hamburg, poi A1 per Bremen, A28 ed E22 per Oldenburg e Groninghen.
Infine A7 fino ad Amsterdam, con passaggio obbligato sulla Aflsuitdjk, la diga più grande che separa il golfo di Amsterdam dall’oceano. Qui c’è il monumento al leggendario bambino che col suo eroismo salvò il paese impedendo alla diga di cedere. È raffigurato in bronzo, nell’atto di raccogliere una pietra. Un piccolo tassello per l’immensa opera dell’uomo che ha strappato terra e spazio vitale al mare.
Sulla torretta che domina la diga e i due mari, ci diamo da fare con una macchinetta che trasforma una moneta da 5 centesimi in una medaglia commemorativa del luogo. Mai vista una cosa simile.
Il campeggio che conosciamo (Zeeburg) non ha un posto libero e veniamo dirottati al Camping Gaasperlas in Loosdrechtdreef. Grande difficoltà a raggiungerlo (anche perchè bisogna tornare fuori, su una delle tangenziali, e infuria un terribile nubifragio) ma nel cambio ci guadagniamo. Non è che di Zeeburg (che peraltro ha il pregio di essere quasi in centro) serbassimo una memoria di grande pulizia e organizzazione. Questo è perfetto e pulitissimo, con prezzi in linea (23,50 euro a notte) e servito dal metro praticamente fuori della porta. Conviene fare il biglietto valido per 48 ore (che scattano alla prima convalida, 10,50 euro) su tutti i mezzi cittadini. Ad Amsterdam ci fermiamo un paio di giorni anche per tirare il fiato.
Siamo stati parecchie volte nella capitale olandese. Conosciamo i suoi musei: imperdibili per chi ci va per la prima volta il museo dedicato a Van Gogh e il museo nazionale con le sue splendide collezioni, il Rijksmuseum, l’uno di fronte all’altro. Preferiamo girare per le vie, perennemente a zonzo. Città popolosa, attiva, multietnica. Qui la tolleranza è di casa. E la libertà è assoluta. Anche se vedere ragazzi e ragazze (ma anche adulti e vecchi) in pieno sballo a tutte le ore fa toccare con mano i limiti di questa libertà. A ridosso della Oude Kerk (la più antica chiesa di Amsterdam, anzi il più antico edificio in pietra) e attorno ad essa si dipanano i vicoli del quartiere a luci rosse, dei sex shop, dei cinema porno, delle donne in vetrina. Qui si esibisce e si compera sesso di ogni tipo e a qualsiasi ora. Nessun moralismo, un po’ di perplessità.
Amsterdam va vista nel suo spessore temporale, nella sua apertura e profondità.
Nel Dam, la piazza principale su cui converge ogni via, trovano spazio gli artisti di strada e uno spettacolo di burattini. Sotto alcuni gazebo un gruppo di Tamil denuncia il massacro e le persecuzioni del suo popolo e manda in scena la rappresentazione di una delle tante violenze che questa minoranza dell’isola di Ceylon deve sopportare ogni giorno.
Sulla via passa uno strano veicolo spinto a pedali. Una sorta di pub itinerante con un gruppo di ragazzi che beve birra e pedala. Passeggeri e motore nello stesso tempo. Ovviamente devono stare attenti a non eccedere, perché pare proprio pesantino da spingere. E con le gambe molli…
La storia, a saperla leggere e decifrare, è scritta sulle facciate della case. Bisogna proprio concedersi l’escursione in battello lungo i canali (durata di circa un’ora e prezzi dai 6,50 euro agli 11, bisogna cercare l’offerta più conveniente). Il commento, in più lingue, illustra storia di mercanti e di pescatori che hanno costruito la città sull’Amstel pezzo dopo pezzo, con fatica immensa, con spregiudicatezza e coraggio.
E i residenti d’oggi, spinti dalla crisi degli alloggi, hanno fatto casa sui battelli lungo i canali. Il comune riconosce loro il diritto ad un numero civico e agli allacciamenti. I pescherecci, solidamente ormeggiati e destinati a non affrontare mai più il mare, hanno finestre curatissime e giardini accuditi con amore.
A Waterlooplein una tappa obbligata è il mercatino delle pulci. Si trova di tutto, dalle bambole alle pipe da oppio, dai pezzi per la macchina alla carabattola più impensabile (da lunedì a sabato, ma bisogna venirci in più giorni successivi perchè le bottegucce e le bancarelle aprono a giorni alterni), in particolar modo abbigliamento di seconda mano. Si contratta su ogni cosa. Io trovo due macinini da muro in ceramica per un prezzo incredibile. Il mercato ha origini lontane: qui vendevano gli ebrei cui non era concesso di tenere negozi stabili.
Cedo poi alla tentazione di sedermi su una panchina mangiando un hot dog comperato ad un chiosco, con buona pace di colesterolo e trigliceridi.
A due passi da qui il Begijnhof (vi risiedevano donne non sposate) offre uno spazio di pace e tranquillità in mezzo alla confusione e al clamore della città. E il bloemenmarkt, il mercato dei fiori, su un canale ricoperto vicino a piazza Munt: qui si compera qualsiasi bulbo e si progetta qualsiasi colore per il proprio giardino. Un rutilare di idee, uno spazio per la fantasia.
E c’è di che gustare ogni tipo di cucina. Una città come scoperta continua, insomma.
RITORNO, CON SORPRESA (1261 Km)
Si chiude il viaggio con i mille e passa km da Amsterdam a Treviso (via Brennero). In tutto 9900 km, cui va aggiunto il kilometraggio compiuto in mare. L’ho già detto. Ad un certo punto non ce l’abbiamo più fatta a seguire le autostrade tedesche letteralmente soffocate dal traffico in coincidenza con i cantieri di lavoro e il conseguente restringimento di corsie. Siamo usciti e abbiamo scoperto una Germania diversa, in cui ritornare con calma. Abbiamo percorso praticamente tutta la Strada Romantica, incontrato un incredibile paese murato (Münnerstadt: le mura con torrette risalgono al 1200 e vi sono infinite case a graticcio), soggiornato in una inattesa stazione termale (Bad Windsheim, vicino a Norimberga con un’ottima e poco costosa area di sosta). Solo per fare qualche esempio. Già il progetto di un prossimo viaggio.