DOLCI MARCHE, BELLA GENTE
PETRIOLO, ABBADIA DI FIASTRA, URBISAGLIA,
CALDAROLA, TOLENTINO, MACERATA, MOGLIANO
Pasqua 2010 dedicata alle Marche. Provincia di Macerata, in particolare. Un viaggio in qualche modo obbligato. Dovevo andare a conoscere di persona Anna Maria Tamburri, squisita amica acquisita grazie a Internet. Il padre, Stanislao Tamburri, è stato un grande latinista e grecista marchigiano (e anche grande maestro, amatissimo da intere generazioni di allievi). Ha studiato, tra gli altri, anche la figura di Venanzio Fortunato, il poeta latino di Valdobbiadene di cui ha tradotto tra l’altro la Vita Sancti Martini. Era in qualche modo ineluttabile che i miei studi e i miei interessi incrociassero la storia della famiglia Tamburri.
Lettere, scambi di libri e mail. Poi, nel pomeriggio di mercoledì 31 marzo, ho abbracciato di persona Anna Maria. In un luogo splendido: i prati e le colline inondati del sole di primavera che circondano l’abbazia di Fiastra, tra rustici, boscaglie e recinti dentro ai quali pascolano cavalli.
La serata l’abbiamo passata a Petriolo un paesino di poche centinaia di anime abbarbicato sul crinale che divide la valle in cui scorre il Fiastra da quella in cui scorre il Cremone. Nemmeno 300 metri di quota per questo borgo turrito e murato ai piedi del quale si stendono panorami che allargano il cuore e fanno desiderare di vivere proprio lì. Camminiamo per i vicoli di Petriolo, respiriamo una atmosfera che sarà un po’ il leitmotiv di questa nostra esperienza marchigiana. Grande amore per la cultura, per la tradizione e la storia spira da queste terre. E gente disponibile, gentile, aperta, ospitale. Chiedi una informazione e trovi chi si offre di accompagnarti di persona.
Siamo in sei, noi. Egle ed io, poi Bruna ed Egidio, Edda e Danilo. Passiamo la serata nella dimora (un po’ villa, un po’ castello) in cui vive, dividendosi con la casa di Macerata, Anna Maria insieme al marito, Renzo Brando, personaggio straordinario. Da giovane, dopo una esperienza da migrante, ha scoperto di avere i piedi magici. Ha giocato in serie A, nel Cagliari di Gigi Riva e Manlio Scopigno. E poi, col passare degli anni, ha saputo di avere anche le mani magiche. È lui che accudisce alla villa di Petriolo: pota gli alberi, cura il verde, sistema le serre, tiene la manutenzione delle scalinate regali che segnano il parco sul pendio della collina. Ed è lui che imbandisce una favolosa cena aperta da un imperiale ciauscolo (il salame tenero e macinato fine che si usa da queste parti) e da bruschette innaffiate dal suo olio. Come è suo il vino rosso asprigno e forte che innamora il palato. Nella grande cantina diventata soggiorno, il fuoco del caminetto divora sommessamente un ceppo dietro l’altro, scrocchia e riscalda. Sulla parete in fondo, la grande libreria racconta una vita intera di studi e scelte culturali. E Renzo racconta le storie della sua vita con ironia e gioia: ha giocato, ha allenato, ha girato come rappresentante di commercio. È un grande affabulatore, ti avvolge.
Serata indimenticabile, in cui scopriamo tanti punti di contatto. Ci commoviamo un po’. Alla fine, abbracciandomi, Anna Maria mi dice: “Stasera ho sentito in modo particolare l’assenza di papà. Mi sarebbe piaciuto che vi conoscete, tu e lui. Vi sareste capiti, avete molte cose in comune”.
VIAGGIO DI AVVICINAMENTO 7 / MERCOLEDÌ 31 MARZO 2010
Poco meno di 400 km per arrivare qui da Treviso. Saranno 900 alla fine del viaggio. Prendiamo la Romea, poi la SS 16 Adriatica fino a Civitanova Marche, infine la superstrada 77 in direzione
Tolentino/Foligno. Per l’abbazia di Fiastra (il nome è propriamente Abbadia di Fiastra) si imbocca l’uscita Sforzacosta. Attorno all’abbazia ampio parcheggio per i camper, con carico e scarico. Sostiamo vicino al recinto dove pascolano i cavalli. Alle nostre spalle il bosco si inerpica sulla collina. Le passeggiate sono belle e riposanti.
ABBAZIA DI FIASTRA /URBS SALVIA/ URBISAGLIA /GIOVEDÌ 1 APRILE 2010
Visitiamo l’abbazia e il monastero (biglietto: 8 euro e 50. Dà diritto, oltre alla visita all’abbazia, all’ingresso nel sito archeologico di Urbs Salvia e alla rocca di Urbisaglia).
L’abbazia di Chiaravalle di Fiastra venne fondata nel 1142 dai monaci cistercensi provenienti dall’abbazia madre di Milano e conobbe un crescente prestigio finché, nel 1422, non fu saccheggiata da Braccio di Montone, signore di Perugia. Successivamente divenne proprietà della famiglia Bandini e, dal 1918, è patrimonio di una fondazione agraria, riconosciuta Ente Morale nel 1974.
Nel 1985 qui sono ritornati i monaci cistercensi e sui 1800 ettari della Fondazione Giustiniani Bandini è stata istituita la Riserva Naturale Abbadia di Fiastra. Da vistare il refettorio dei Conversi, in cui si nota come dalla vicina Urbs Salvia sia stato recuperato molto materiale (in particolare i capitelli). Poi il giardino e il palazzo Giustiniani Bandini e l’ampio chiostro al centro del quale si apre il grande pozzo in comunicazione con la cisterna che raccoglie l’acqua piovana. Il Cellarium è l’antico magazzino, vicino alla sala delle oliere in cui si conservava l’olio prodotto dagli ulivi dell’abbazia: ora ospita un prezioso patrimonio museale il cui nucleo più importante è dato da documenti epigrafici provenienti dalla vicina Urbs Salvia. Alla fine si visita la sala del Capitolo e la bella chiesa dedicata a Maria dal portale policromo e dalla classica pianta a croce latina a tre navate.
Sulla collina prospiciente sorge Urbisaglia. La romana Urbs Salvia è nella vallata, in basso. Cominciamo da qui. Attualmente il parco archeologico si sviluppa su 40 ettari ma il territorio da indagare e scavare è ben più ampio. Oggi si può vistare l’ampio anfiteatro costruito da Flavio Silva Nonio Basso alle fine del primo secolo dC.
Vicino sorgono due imponenti monumenti funerari e quello che resta del grande Tempio con criptoportico. Sui muri importanti tracce di affreschi con gorgoni e scene di vita del mondo animale.
E le cosiddette facce lunari, ritratti in cui coesistono parti chiare e parti scure proprio come la superficie della luna.
Si sale ad Urbisaglia e cominciamo con la Rocca che consente l’intero giro degli spalti merlati e quindi la contemplazione del panorama circostante. E poi il serbatoio dell’acquedotto formato da due gallerie parallele che raccoglievano l’acqua sorgiva e rifornivano tutto il territorio circostante. Si tratta di un vero e proprio capolavoro di ingegneria idraulica che ci viene illustrato da una delle tante guide disponibilissime che troviamo da queste parti: Leonardo Catucci, 3397442627,
liocata@libero.it. Leonardo dice di essere a disposizione di comitive che volessero conoscere il territorio anche nei suoi aspetti meno noti.
Ottimo il posto sosta per camper con vista panoramica sulla vallata. Tuttavia noi preferiamo in serata trasferirci presso la piazzola di Caldarola che visiteremo domani: decisamente molto meno suggestiva. Squallida, anzi.
CALDAROLA / CASTELLO DELLA RANCIA / MOGLIANO / VENERDÌ 2 APRILE 2010
A Caldarola (che deve il suo nome a calidarium, la stanza riscaldata degli ambienti termali) troviamo parcheggio a poca distanza da piazza Vittoria Emanuele dominata dalla torre civica e dalla facciata secentesca della collegiata di san Martino. Il borgo raggiunse l’apice del suo splendore nel Cinquecento ad opera della famiglia Pallotta (soprattutto il cardinale Evangelista. La famiglia ebbe dopo di lui altri tre cardinali, uno per secolo) che le diede il volto rinascimentale che conserva in larga parte anche oggi. Caldarola è dominata dal Colle del Cuculo (qui detto popolarmente Colcù) su cui sorge il bel castello Pallotta.
La visita (7 euro, ridotto 5) si snoda tra gli ambienti destinati alla servitù e quelli riservati ai nobili: tappeti, quadri, drappeggi, mobili, carrozze, libri, armi, livree per valletti e cocchieri, armature. Un Pallotta inventò una particolare mazza a tre palle che faceva differenza in battaglia e da allora l’oggetto appare nello stemma di famiglia. La visita si conclude sul ponte levatoio sotto un pino secolare, davvero suggestiva.
A metà giornata ci trasferiamo al Castello della Rancia (cioè castello del grano, visto che molti locali erano adibiti a deposito del prezioso cereale, grange in francese, ad opera dei frati cistercens). Assunse la forma attuale a metà del 1300: un quadrilatero dominato dal poderoso mastio (la cui ascesa è sconsigliata a chi soffre di claustrofobia). L’interno è piuttosto spoglio. Merita attenzione però il piccolo museo archeologico Gentiloni Silverj. Splendida la statua femminile di donna ammantata a grandezza naturale (prima secolo dC) e molto originali le due applique bronzee che troviamo nel logo del museo (figura umana tra due cavalli).
Pranziamo nel parcheggio e poi partiamo per Mogliano.
Il borgo guarda verso la valle del Chienti e ha una grazia robusta che apprezziamo nei vicoli, davanti alle chiese, negli slarghi improvvisi. Troviamo un parcheggio per il camper ma subito una persona (sapremo dopo che è una dei responsabili della rievocazione) ci indica, qualche metro più in là una sistemazione migliore e più riparata. Grazie di cuore.
Ogni anno Mogliano dà vita, il venerdì santo, alla rievocazione storica della Passione del Cristo.
Trecento figuranti (quasi una cinquantina i soldati romani di cui una decina a cavallo) per una sacra rappresentazione di rara suggestione e di assoluto coinvolgimento. Personalmente mi sono commosso e posso dire che i miei compagni di viaggio hanno condiviso. Piove fino ad un istante prima. Poi -una sorta di mezzo miracolo- si apre sopra di noi uno splendido cielo stellato. Tre quadri (la cena dell’eucaristia, il processo con la flagellazione, la crocifissione preceduta dal tragico, drammatico avanzare del Cristo sotto il peso della croce) e poi la processione vera e propria: le vergini velate, le confraternite, il clero, le pie donne e poi tutti i fedeli dietro la preziosa bara del Settecento.
La crocifissione, pur rigorosamente semplice e disadorna (o forse proprio per questo), è stata di incredibile impatto, un evento che è andato direttamente al cuore. Musica, regia, luci, il sobrio parlato: l’insieme ha reso ai miei occhi la sacra rappresentazione di Mogliano in assoluto la più coinvolgente cui abbia mai assistito.
Nel pomeriggio, grazie alla cortesia di uno degli addetti che è andato a prendere le chiavi, possiamo vistare quel gioiellino che è il teatro Apollo. Notte tranquillissima nel parcheggio.
TOLENTINO / MACERATA / SABATO 3 APRILE 2010
Al mattino ci trasferiamo a Tolentino che riserva ai camper una bella area di soste proprio alle porte della città (zona ex foro boario). Imperdibile la basilica dedicata a san Nicola da Tolentino. Il santo titolare (1245-1305) nacque a Sant’Angelo in Pontano ma a Tolentino visse tutta la sua esperienza di frate agostiniano.
All’interno della basilica ci fermiamo nel cosiddetto Cappellone interamente occupato da un ciclo di affreschi trecenteschi: gli evangelisti, scene bibliche (grande impatto soprattutto della strage degli innocenti e del Cristo giovane ritratto tra i dottori), il racconto della vita del santo (in particolare i miracoli: san Nicola che guarisce i malati e poi salva uno stuolo di naviganti dal naufragio). Gli affreschi sono opera insigne di Pietro da Rimini e della sua scuola.
Notevoli anche la cripta con le spoglie del santo (nascoste nel 1345 e ritrovate negli scavi del 1926) e la cappella delle Sante Braccia che ospita gli arti superiori di san Nicola amputati ad opera di un fanatico. Da visitare il museo del santuario (molto bella una Madonna tra santi -tra i quali san Nicola- opera di Marchisiano di Giorgio) e il museo dei presepi aperto da un gruppo ligneo, lavoro affascinante di uno scultore marchigiano della prima metà del secolo XIV.
Poi una passeggiata tra le porte medievali e le chiese, per vicoli e piazze. In piazza della Libertà ammiriamo la grande torre dell’orologio a tre quadranti (più quello che conta le fasi lunari).
Pranziamo e nel pomeriggio ci portiamo a Macerata che riserva ai camper uno spazio vicino allo stadio Helvia Recina in via Velini a circa un km dal centro storico (con carico, a pagamento, e scarico). Si può prendere l’autobus 9 (e la domenica il 9 festivo) oppure l’ascensore (chiuso nei giorni festivi) nell’adiacente parcheggio Garibaldi.
Passeggiamo in centro e cerchiamo una trattoria per il giorno dopo. È chiuso (pomeriggio di sabato) l’ufficio del turismo ma nell’adiacente stazione di polizia apprezziamo la cortesia di tutti gli agenti che ci riempiono di indicazioni. Fissiamo il pranzo presso la trattoria “Il Cortile” fra via Garibaldi e piazza XXX aprile (scopriremo il giorno dopo: ottima cucina casalinga e prezzi accessibilissimi).
Macerata è una vivibile città murata, piena di grazia e molto bella. E città libera. Nella centrale piazza della Libertà mi fermo davanti alla lapide dedicata a Giordano Bruno, dedicata il 1 luglio 1888 e che si apre nel segno della “cieca immobilità del papato”. Camminiamo a lungo per le sue vie prima di ritirarci in camper.
MACERATA / DOMENICA 4 APRILE 2010
Al mattino visita (prenotata, 5 euro con guida) allo sferisterio di piazza Mazzini.
L’impianto che risale ai primi dell’Ottocento (1829, leggiamo nella scritta che campeggia sul frontale) nacque come arengo sportivo per ospitare il popolare gioco del pallone elastico (nella variante detta del “bracciale”) celebrato anche dal recanatese Giacomo Leopardi nella sua ode “Ad un vincitore nel pallone” dedicata a Carlo Didimi.
I 100 “consorti” più ricchi della città si misero insieme per reperire i fondi. Ognuno ebbe diritto ad un palco: esempio unico di un teatro all’aperto con palchi. Presto si trasformò infatti in spazio teatrale: oggi ospita sia una prestigiosa stagione lirica che una ricca stagione teatrale. Oltre a molte altre manifestazioni tutte di grande valore.
Poi messa al Duomo in piazza Strambi e quindi visita al centrale teatro Rossi. A metà pomeriggio recuperiamo i camper e ci dirigiamo a Jesi che ha una grandissima area sosta in via Mazzoni:
letteralmente presa d’assalto da decine e decine di camper. Vogliamo visitare la città il giorno dopo.
Ma ci attende un lunedì dell’angelo segnato dal diluvio. Dobbiamo prendere la strada del ritorno abbandonando l’idea della visita. Percorriamo a ritroso la via dell’andata. Con molte code a singhiozzo. Ampiamente previste, e tuttavia noiose e defatiganti.