IL MITO E LA STORIA, CROCEVIA DI POPOLI E CIVILTÀ
CRETA, CULLA DEGLI DEI
LA TERRA CHE NON SI APPARTIENE
Creta, culla degli dei. Qui nacque Giove. Suo padre, Cronos, vedeva in tutti i figli potenziali concorrenti al potere e li mangiava. Sua madre Rea lo nascose in una grotta del monte Ida.
Una terra che non si è mai appartenuta.
Dopo lo splendore dell’età minoica, qui arrivarono Micenei, Greci, Bizantini, Veneziani, perfino Genovesi, Turchi. Fu anche a lungo romana. Quinto Cecilio Metello la conquistò, tra 69 e 67 a. C., per combatterne i pirati. Nel 27, sotto Augusto, divenne provincia assieme alla Cirenaica fino alla spartizione dell’impero. Solo nel 1913 si unirà, in forza del trattato di Londra e dopo il buio periodo delle guerre balcaniche, allo stato greco.
Una striscia montuosa –rilievi aspri, brulli e dirupati- che chiude il mare Egeo e, allo stesso tempo, è ponte tra Grecia e il resto del Mediterraneo. Lunga 250 chilometri, larga mediamente 35. Arrivo all’aeroporto Nikos Kazantzakis (il più importante scrittore cretese, 1883-1957) di Heraklion con scalo all’Eleftherios Venizelos di Atene.
HERAKLION
Heraklion o Candia, da una radice araba che vuol dire “fossato”.
La capitale parla veneziano, un po’ come tutta l’isola. Dall’insegna di una caffetteria (VenetiGo. E si viaggia Morosini Travel!), alle mura, alle zone portuali con gli arsenali e le cisterne. Nel 1628 Francesco Morosini costruì una fontana che è il centro della città. Da qui si irradiano le strade delle botteghe e dei ristorantini (a Creta si portano in tavola gusti forti -carne, pesce, verdura- per pochi euro. E si mangia benissimo).
A proposito di botteghe. Certo, i soliti inflazionati souvenir e le ceramiche falso antiche. Ma profumatissimi per l’essenza e ricchissimi di ogni oggetto possibile e immaginabile, i negozi in cui si vende l’ulivo in mille fogge diverse.
A pochi minuti dal centro, Cnosso. È il sito archeologico più visitato dopo il Partenone. La rappresentazione fisica della nascita, della crescita, del fulgore della civiltà minoica fiorita tra 2700 e 1450 a. C., quando arrivarono i guerrieri micenei. Già 3mila anni prima di Cristo qui si usa il bronzo per forgiare strumenti in serie e a basso prezzo. Agricoltura ed allevamento compiono progressi enormi e l’isola produce molto più di quanto consuma. Esportazione e grande ricchezza. Una società basata sul denaro e quindi molto violenta.
La dolce società senza mura è una falsa rappresentazione. Creta si difende sul mare. Ha flotte possenti e guerrieri/marinai rotti a ogni ribalderia.
La religione è un forte collante sociale e domina spesso col terrore.
In una delle grotte del monte Iuchtas, dice il mito, è sepolto Zeus. Anche gli dei, come il giorno e la notte, come le stagioni, nascono, muoiono, rinascono. Esigono sacrifici. In una caverna, Anemòspilia (cioè “grotta del vento”), un terremoto sorprese e schiacciò dei sacerdoti che stavano compiendo un sacrificio umano. Religione, a sua volta, violenta. Il mito racconta di tributi pagati in fanciulli da sacrificare.
Creta divenne crocevia di civiltà e popoli.
Il palazzo sorge vicino al mare, lo domina e lo sorveglia, diventa emblema fisico del potere.
Il denaro produce la specializzazione dei mestieri e la inevitabile stratificazione in classi sociali. Si amministra, si costruiscono magazzini, si crea forte movimento di merci che vanno e che vengono, si tengono archivi. Ovviamente si coltivano le scienze, la conoscenza è un valore che pesa come l’oro. L’astronomia aiuta comprendere e a gestire meglio il succedersi delle stagioni. Attorno al 1450 arrivano i Micenei e tutto questo ha fine. Il mito lo adombra nella figura e nelle vicende dell’ateniese Teseo che viola il labirinto e uccide il minotauro.
LABIRINTO, LUOGO DELLE ASCE
Già, il mito del labirinto. Qualcuno sostiene che è la stessa complessità dei palazzi (Cnosso con le sue vie processionarie, i suoi cortili, i suoi laboratori, le stanze riservate a re e regine si estende su 22mila metri quadri) a suggerirne l’idea. Ma forse non (solo) così.
Qui entra in gioco l’ascia bipenne, che si trova e si vede ovunque. Nel museo di Heraklion ve ne sono di molto grandi. In anatolico il nome dell’ascia è “labris”, stesso etimo di labirinto. E la scure sarebbe immagine di un grafico su cui computare l’alternarsi di equinozi e solstizi. Spesso viene disegnata in modo stilizzato: due triangoli contrapposti che si toccano su un vertice comune. Il labirinto come osservatorio, dunque. E rotondo perché a essere prigioniero è il sole stesso con la sua orbita circolare. Quando Teseo uccide il minotauro in realtà uccide il sole e una civiltà si spegne.
Il museo di Heraclion attesta il fulgore e anche i livelli di tecnologia raggiunti. Celebra l’apoteosi della civiltà minoica. Se ne fa emblema l’inimitabile gioiello delle api attorno al loro favo. O la misteriosa signora dei serpenti. O il sarcofago in pietra intonacata e affrescata proveniente da Haghia Triada.
A sera, una piccola grande gioia. Vedo una libreria e mi ricordo di una recente traduzione in greco della Divina Commedia. Quando pronuncio il nome di Dante Alighieri, il volto della libraia si illumina.
GORTINA E LE SUE LEGGENDARIE LEGGI
Gortina è dalla parte opposta di Creta, a sud, sul mare libico. Destino inverso di Cnosso. Ha attraversato in crescenti splendore e importanza tutto il primo millennio. Entra nella storia nell’VIII secolo a. C., quando Cnosso ha già visto tramontare da secoli la sua epoca d’oro. Arrivano i Dorici dal Peloponneso e, nel II secolo, i Romani. La nuova capitale. Gli scavi hanno portato alla luce le fondazioni dell’acropoli. Il visitatore (il luogo è più raccolto. Silenzioso perfino, pensando al frastuono turistico di Cnosso) è accolto dall’odeon, sorta di piccolo teatro un tempo coperto. Vi si tenevano spettacoli di danza o recite letterarie per un pubblico ristretto, di élite.
I blocchi di pietra delle fondazioni recano iscritte le leggendarie leggi di Gortina sul diritto familiare, studiate e valorizzate dall’epigrafista italiano Federico Halbherr. Patrimonio immenso e unico. Risalgono al 480 a. C. e sono redatte in un greco definito dorico-gortinese. Una finestra spalancata sui rapporti sociali del tempo. Importanti le informazioni sul ruolo della donna il cui prestigio era altissimo, pari quasi a quello dell’uomo. E del resto si racconta che da queste parti, ogni nove anni, Minosse consultasse suo padre Zeus su come modificare e aggiornare l’apparato legislativo dell’isola.
Vicino all’odeon sono il teatro grande e, poco discosta, la chiesa paleocristiana dedicata ad un seguace di Paolo, Tito (santo a sua volta).
FESTO E IL DISCO D’ORO
La vicina Festo offre, in cima ad una collina, una visione unica.
Mentre a Cnosso è rappresentata solo l’ultima fase della civiltà dei palazzi, a Festo è rappresentata anche la prima. Una più tarda costruzione trasforma e integra quella più antica, pur (o forse proprio per questo) negli spazi piuttosto limitati della spianata. 8mila metri quadri contro i 22mila di Cnosso. Ecco la sala del trono, la sala per il culto della Grande Dea Madre, il cosiddetto megaron (cioè “grande stanza”) del re, vicino a quello della regina.
Accanto, i magazzini. Ancora con gli antichi strumenti. Un grande catino in pietra con scolatoio per pestare le olive e forse pigiare il vino. Le pietre recano incisioni probabilmente per indicare che quel magazzino ospitava derrate dirette a… o provenienti da…
In un magazzino si capisce che lì le merci erano per o da Cnosso. L’incisione di una scure lascia pochi dubbi. Osservando una delle foto sottostanti si vede l’ascia bipenne. Ancora stilizzata, ancora i due triangoli che si toccano per il vertice.
Il piazzale occidentale è attraversato da una via processionale che arriva ad una serie di gradini. Diritti, non ad arco. Una sorta di tribunetta da cui assistere a spettacoli o riti. In un angolo, un tratto della canaletta che riforniva d’acqua il palazzo.
A est, nella parte più antica del complesso di Festo, è stato trovato il famoso (e misterioso) disco d’oro (in realtà argilla del colore dell’oro), tra i reperti più notevoli del museo di Heraclion. Fino ad oggi non ha rivelato l’enigma dei 241 segni incisi con stampini quando l’argilla era ancora fresca sul disco di 15 centimetri di diametro. Tanto che qualcuno ha parlato di un falso. Uno scherzo (o magari una truffa) attorno a dei segni senza senso?
MATALA, TERREMOTI E FIGLI DEI FIORI
Non molto distante, la cittadina di Matala che negli anni Settanta era diventata la capitale dei figli dei fiori. Una insegna che invita a fare provvista di cannabis ce lo ricorda. Come un vecchio, coloratissimo pullmino incredibilmente sulla terrazza di una casa.
Graziosa, sul mare, in fondo ad un golfo con una parete a strapiombo sull’acqua. Gli strati geologici raccontano che questa è terra di violenti terremoti e grandi stravolgimenti tellurici.
Che luce, che mare limpidissimo. Mai visto nulla di simile. La mia signora Canon non la smetterebbe mai di fare clic.
MALIA, LA BELLA, E IL SUO VILLAGGIO
La vicina Malia (costa nord dell’isola, sull’Egeo) è così bella che verrebbe da chiamarla all’italiana, con l’accento sulla i.
La piana, dominata da una annosa tamerice, si protende verso il mare. Regina delle acque e dei commerci, ospita il terzo centro palaziale (e il più piccolo, 7500 metri quadri) dell’isola. Ma è anche il più leggibile, quello che meglio parla al visitatore moderno. L’ampia via processionale introduce al cortile al cui centro campeggiano il largo braciere per le carni sacrificali e il misterioso batilo, la pietra sferica (forse sacra?) emergente dal terreno. Intorno, i grandi magazzini per derrate e metalli e gli uffici per una amministrazione che doveva essere molto complessa. Il cortile è dominato da due giare alte un paio di metri. Venivano costruite a pezzi separati e poi assemblate. Moderne arnie colorate ci ricordano, in lontananza, che questa è territorio di prezioso e nobile miele.
Il villaggio vicino fa letteralmente camminare nel tempo.
La casa del vasaio e i laboratori dei fonditori di metalli. Il fabbricante di sigilli (di timbri, diremmo noi) ha disseminato il suo ambiente di lavoro delle prove di lavorazione e di qualche scarto. E così sappiamo che proprio lì si costruiva l’identità di artigiani e commercianti e soprattutto delle loro merci.
Da una tomba vicina proviene lo straordinario monile delle api ammirato nel museo di Heraklion. Società colta e raffinata che amava le cose belle ed era tecnologicamente molto evoluta.
Sul cortile incombe la loggia da cui il re sorvegliava e amministrava giustizia.
IERAPETRA E NAPOLEONE
Un po’ più a est, Aghios Nicolaos (cioè San Nicola), abbarbicata sulle colline della baia di Mirabello (il nome viene da un castello genovese costruito sulla collina Nomarchia) offre panorami di pace e incanto. Nella vicina Ierapetra dormì, in incognito, Napoleone reduce dalla campagna d’Egitto. Si racconta di un, peraltro mai visto da alcuno, biglietto lasciato sotto il cuscino in cui rivelava la propria identità. Casa modestissima e in stato di abbandono. Cittadina da sempre covo di pirati tanto che i Veneziani, a presidio, vi costruirono la fortezza di Kale, proprio sugli scogli.
Sul molo una vecchia regina dei mari, in disarmo e desolata, lascia che il sole le calcini le fiancate e le sgretoli la vernice. La mia signora Canon se ne innamora.
IL MONASTERO DI ARKADI, COSTANTINO E LA BATTAGLIA
Verso ovest, Creta si fa meno brulla essendo la parte più piovosa dell’isola.
Un balzo nel tempo, quasi i nostri giorni.
È un mattino di pioggia, l’8 novembre 1866. Il turco Mustafà Pascià si presenta con 15mila uomini e 30 cannoni sotto le mura del monastero di Arkadi in cui si erano rifugiate 964 persone. 325 uomini, poi donne e bambini, pochissime armi.
Nel vento della spianata tra le forre del monte Ida, si alza lo stendardo dei difensori. Reca dipinta la trasfigurazione di Cristo. L’igumeno (“abate”) Gavriil Marinakis incita a resistere. Le cannonate turche si accaniscono sui battenti della porta occidentale. Si combatte fino a notte. Mustafà fa arrivare da Rethymno un più potente cannone.
Nuovo assalto all’alba. La porta cede sotto i colpi ed è strage. Le donne e i bambini si raccolgono nella polveriera. Uno dei difensori, Kostis Giambudakis, spara sulle polveri e l’esplosione uccide gli assediati. Si salva solo Eleni Loukaki-Sfakianaki, una bimba di 4 anni, difesa forse dai corpi della mamma e dei fratelli. Morirà a 86 anni, nel 1948.
114 i superstiti, catturati vivi per farne ostaggi.
“L’eroico monastero muore come un vulcano” dirà Victor Hugo. In uno dei cortili, lo scheletro di un cipresso evidenzia un foro di pallottola sparata in quei giorni di sangue. E anche lo stendardo issato contro il nemico reca il segno dei proiettili turchi. Quel che ne resta -brandelli scoloriti- è conservato nel museo del monastero.
Il monastero di Arkadi fu fondato nel XIII secolo da un mitico monaco, Arkadios, su un altopiano a 500 metri di altezza, una ventina di chilometri da Rethymno. Una cappella dedicata ai santi Costantino ed Elena e qualche cella. Splendido esempio di architettura monastica degli ultimi anni della dominazione veneziana, straordinario mix di elementi gotici e rinascimentali. La chiesa è dominata dalle icone argentee dei patroni Costantino ed Elena, contornate dagli ex voto. La grande e severa aula sacra invita ad accendere un esile cero e a infiggerlo nella sabbia dei bracieri all’ingresso.
Arkadi fu un grande centro culturale con una biblioteca immensa purtroppo bruciata nel 1866. Il piccolo ma ricchissimo museo conserva icone, codici (il monastero fu importante laboratorio di copiatura), paramenti e arredi sacri.
RETYMNO, LA VENEZIANA
Retimo (o Réthymno) è una piccola capitale. Il vento dell’Egeo la batte in continuazione.
L’acropoli. Come un baluardo, incombe sul mare la fortezza veneziana, perfettamente conservata, su una spianata molto ampia. Fu costruita tra il 1573 e il 1582. Quando cadde in mano ai Turchi la cattedrale di Agios Nikolaos (1583) divenne moschea. È la moschea Imbraem Chan, costruita nel 1648. La volta della cupola giocata sui bianchi e su varie tonalità ocra rimanda ai cieli che sono narrati nel Corano e vengono percorsi dal Profeta. Suggestione pura.
Accanto, una chiesa veneziana, alcuni magazzini e le cisterne.
Nel centro storico la fontana Raimondi sputa acqua dai leoni marciani sovrastati (che accostamento!) da capitelli corinzi. Deve il nome al governatore Alvise Raimondi che la costruì nel 1626. In una stradina un rigattiere propone i suoi oggetti di antiquariato. Una gioia per me ed Egle e per le nostre passioni. Sotto il minareto della moschea Nerandzes, la loggia veneziana che risale al XVI secolo. In epoca ottomana divenne moschea ed oggi ospita l’ufficio del turismo.
La cittadina è percorsa dal trenino panoramico rosso fiammante costruito dalla Dotto di Castelfranco. Reca il nome pomposo di Muson River.
CHANIA DEI GIANNIZZERI
Chania, sull’Egeo, l’antica Cidonia. Fu colonia romana e dopo la quarta crociata passò sotto il dominio veneziano, con un interludio genovese (1267-1290). La difesa dai Turchi impose la costruzione di poderose mura, opera di Michele Sanmicheli, il grande architetto e urbanista veronese ingaggiato dalla Serenissima proprio per la sua abilità nel progettare strutture militari. Gli Ottomani tuttavia la espugnarono nel 1645 e vi rimasero fino al 1898. Il porto veneziano fu costruito tra il 1320 ed il 1356 e ampliato nel XVI secolo. Oggi è il luogo turistico per eccellenza con artisti di strada, trattorie, taverne e bar.
Su uno dei lati del porto sorge la moschea dei giannizzeri, i temibili e spesso feroci soldati turchi. Venivano rapiti quando erano ancora fanciulli a famiglie cristiane e fanatizzati all’Islam. Ahimè chiusa.
INVENTORI DELLA SCRITTURA
Creta è uno dei luoghi in cui nasce la scrittura.
Due gli alfabeti, la scrittura lineare A e la lineare B. Esisteva anche una scrittura per geroglifici usata soprattutto per i sigilli.
La lineare B è stata decifrata è conduce ad una lingua protogreca, il miceneo. La lineare A conduce invece ad una lingua non nota cui è stato dato il nome di minoica. La lineare B soppianta la A attorno al 1450 a. C. con le invasioni micenee.
GRAZIE ALLA FONDAZIONE FEDER PIAZZA
E A TUTTI I MIEI COMPAGNI DI VIAGGIO
Il viaggio a Creta è stato organizzato dalla trevisana Fondazione Feder Piazza, nata nella memoria di due grandi educatori come Anna Maria Feder e Francesco Piazza che è stato anche uno dei grandi maestri incisori del Novecento italiano.
Grazie a Lino, Nevio e Giorgio che hanno guidato e gestito al meglio ogni cosa. Grazie alla guida Luisa (coltissima e capace di ammaliare col suo linguaggio) e all’autista Costantino (unico nel passare in strettoie dove nessuno oserebbe).
Grazie a Egle e grazie a tutti gli altri compagni di viaggio.
Adelaide e Giuseppe, Enza e Dino, Daniela e Sandro, Daniela e Francesco Paolo, Mariarosa, Luciana e Giorgio, Dina e Giancarlo, Lucia e Gigi, Giuseppina, Clara, Tiziana, Laura, Francesca, Mimma, Tiziana, Barbara, Anna Rosa, Carla, Maria Serena, Lilla, Nelly e Francesco con Matteo, Pietro, Lino, Chiara, Assunta.