(TESTO DELLA QUARTA DI COPERTINA E DEL COLOPHON)
Lo sapevate che il mostro di Loch Ness fece la sua prima apparizione 1400 anni fa davanti a san Gallo (il santo, non il cantone svizzero che da lui prende nome)? Lo sapevate che a Treviso avviene un “miracolo del sangue” molto più clamoroso di quello napoletano di san Gennaro? E che la prima lingua artificiale (un vero e proprio esperanto) fu creata quasi mille anni fa da un’incredibile figura di intellettuale, Ildegarda di Bingen? Chi è il patrono dei mariti cornuti e perché san Francesco di Sales è patrono dei giornalisti? Cosa ci azzecca il profeta biblico Geremia con i coccodrilli? Sapete che i nuotatori hanno il loro patrono in sant’Adiutore? Chi è Dinfna, la martire quindicenne patrona dei malati psichici (e dei sonnambuli)? E soprattutto lo sapete che c’è un patrono (o più patroni) praticamente per ogni categoria e per ogni situazione?
Il patrono fa campanile. Ed è identità.
Un esperto di agiografia come Gian Domenico Mazzocato propone l’elenco forse più completo di patroni e protettori. Tra eventi leggendari e storia, racconta un’infinità di cose di santi. Ed elenca tutti i patroni dei quasi mille comuni di Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia.
Le illustrazioni vengono dalla raccolta di immagini e immaginette sacre dell’autore.
E PER LEGGERE LE DIDASCALIE…
Di ogni santo si danno il giorno (o i giorni) della festa; date di nascita e morte (o il periodo in cui è vissuto); un breve cenno biografico; eventuali patronati; il significato del nome.
UNO STRALCIO DAL CAPITOLO INTRODUTTIVO
UNO SCAMPOLO DELLE INFINITE CURIOSITÀ DEL LIBRO
LE CORNA DI SAN MARTINO,
LA SANTA DEI FOTOGRAFI,
I VERMI DI GIOBBE
Selva fitta davvero, perfino selva selvaggia, usando le parole del divino poeta.
Intanto quella dei patroni è una situazione in continuo diventire. Un esempio? Fino al al 2015 Gazzo Veronese non aveva, da regolamento comunale, patrono. Il Comune chiudeva per convenzione il primo lunedì di maggio. Poi si è deciso per i santi apostoli Filippo e Giacomo (3 maggio). Ma le scuole pubbliche del territorio festeggiano il patrono della frazione di appartenenza (parole del gentilissimo sindaco, Andrea Vecchini, che mi ha tenuto informato sulla vicenda).
I santi protettori vivono sulle ali del paradosso. I collezionisti di immaginette sacre (io ne faccio modestissimamente parte, ci chiamiamo col nome criptico di filiconici) non hanno un loro patrono. Stanno un gradino più in basso dei collezionisti di monete (sant’Eligio di Noyon) e di francobolli (san Gabriele arcangelo).
I filiconici sono indecisi tra san Sulpizio, san Giuda Taddeo, san Luca Evangelista e qualche altro.
È un po’ la storia del patrono degli informatici e di tutti coloro che usano internet. È sant’Isidoro di Siviglia, l’enciclopedico vescovo nato nel 560. Le sue Etimologie sono l’antenato degli ipertesti. Ma c’è anche santa Veronica. Secondo la leggenda (il suo nome, corrispondente al greco Berenice, ci è stato tramandato solo dai vangeli apocrifi), fu lei a detergere, durante la salita al Calvario, il volto di Gesù con un panno di lino su cui rimase impressa l’immagine del Cristo (e per questo è patrona anche dei fotografi).
Due patroni, basta e avanza. Ma quando mai. Qualche anno fa un sito che contiene moltissime biografie di santi, bandì un referendum per un nuovo patrono degli informatici. Hanno votato in settantamila, da ogni parte del mondo.
Senza possibilità di trucchi: un pc, un voto. Ha vinto sant’Alberione per un’incollatura su san Giovanni Bosco. Ma in gara sono stati sant’Alfonso de’ Liguori, san Gabriele arcangelo, santa Chiara d’Assisi, san Massimiliano Kolbe.
Ci sono anche i patroni che potremmo chiamare inspiegabili. L’esempio più clamoroso è quello di san Martino, patrono che viene tirato per la manica da una serie infinita di categorie. Tutte con qualche giustificazione, più o meno valida. Ma, a scorrere la lista, si scopre che sono presenti anche i cornuti.
Sì, dei signori e delle signore che non possono contare sulla fedeltà del loro partner. Per spiegare si sono mossi antropologi e storici del costume, perché nella vita del santo nato in Ungheria e diventato fondatore del monachesimo occidentale, non vi è nulla che giustifichi i pruriti di tale patronato.
La spiegazione che viene data lega il fatto alla stagionalità della festa del santo vescovo di Tours che ricorre l’11 novembre (data dei suoi funerali, non della sua morte avvenuta a Candes, alla confluenza di Vienne e Loira, l’8 novembre 397).
Insomma la stagione delle grandi fiere di bestiame e i mari di corna che queste movimentano in mille città e villaggi, hanno propiziato il binomio san Martino-cornuti. In molte località d’Italia, al Sud come al Nord, ci sono vere e proprie sfilate di mariti e mogli con gran palchi di corna in testa. Molto spesso in maschera. Perché va bene mettere in piazza il tradimento subito e stare allo scherzo. Ma senza esagerare.
Se è vero che, nella vita di san Martino, non c’è episodio che spieghi questo scomodo patronato, è altrettanto vero che ci ha pensato la maliziosa bocca popolare a rimediare al vuoto.
Per dire come la gente tiene ai suoi santi, ci lavori sopra con fantasia infinita (e anche un po’ pruriginosa).
Davvero grossolana la diceria del volgo. San Martino, dopo la morte della madre, era rimasto solo con la sorella della quale era molto geloso. La portava sulle spalle e la faceva scendere solo per i bisogni fisiologici. Un giorno, la sorella, d’accordo con un giovane di cui era innamorata, chiese a Martino di scendere e si recò dietro un albero dove l’attendeva l’amato. Nei mesi seguenti Martino avvertì l’aumento del peso. Facile capire perché.
Inutile dire che non c’è biografo che citi una sorella di Martino. Ma il patrono dei cornuti lavora comunque a tempo pieno. A Ruviano, (in provincia di Caserta, neanche duemila anime, dunque tutti conoscono tutto di tutti) dite tranquillamente a uno: “Guarda che cornuto!”. Ve la caverete senza problemi. Anzi, il vostro interlocutore vi guarderà fiero e forse vi sorriderà compiaciuto. Ma attenzione: solo in occasione dell’11 novembre.
Quantomeno curioso il fatto che Giobbe, il personaggio biblico dalla proverbiale pazienza, sia stato eletto da una lunga tradizione a protettore dei bachi da seta e soprattutto di coloro che ne ricavano qualche guadagno. Anche qui fior fiore di studiosi a individuare le radici del patronato in una rilettura medievale del racconto biblico. L’enfasi del lieto fine della vicenda di Giobbe si lega con il sospirato esito dei mesi di allevamento. E l’iconografia medioevale evidenzia le piaghe di Giobbe da cui nascono i vermi plausibilmente identificati dalla cultura popolare con i bruchi destinati alla sperata metamorfosi.
Poi i santi che poco si conoscono ma che allargano il loro manto protettore sulle categorie più disparate.
Sant’Eligio di Noyon (Chaptelat, 588 circa – Noyon, 1 dicembre 660, lo si festeggia appunto nel primo giorno di dicembre), fu orafo e divenne in seguito alto funzionario della corte dei re merovingi. Aveva appreso il mestiere nientemeno che a Limoges presso il monetiere Abbone. Clotario II gli commissionò un trono. Con l’oro che gli fu dato Eligio ne realizzò due e il re, colpito dalla sua abilità, lo nominò orafo di corte e maestro della zecca.
Personaggio mitico. La leggenda vuole che abbia realizzato preziosi oggetti di culto per le chiese parigine di Notre Dame e Saint-Denis, oltre che per altre chiese e abbazie. Sotto il successore di Clotario, Dagoberto I, Eligio ricevette e risolse al meglio delicati incarichi diplomatici. Ristabilì la pace tra i Franchi e i Bretoni il cui re Giudicaele si sottomise a Dagoberto. Fu vescovo della diocesi di Tournai e Noyon e si dedicò alla conversione dei pagani ancora numerosi sul territorio della sua diocesi.
Una tela di Petrus Christus che si trova al Metropolitan Museum of Art di New York, lo effigia compunto e serioso mentre tratta con alcuni clienti nella sua bottega di orefice.
Una vita piena, insomma. Densa di eventi ed episodi. In seguito ai quali è divenuto un patrono (o compatrono) assolutamente multitasking. Di chi forgia lame per ottenerne coltelli e forbici, dei lattonieri, di fabbri e maniscalchi (e, verrebbe da dire per induzione, di mercanti di cavalli), degli addetti al settore metallurgico, dei minatori, dei veterinari. Ovviamente dei gioiellieri e dei numismatici. E, vai a vedere perché, dei garagisti.
Ma una vicenda da romanzo, tutta da raccontare, è quella di santa Dinfna (Dimpna), uccisa da suo padre a 15 anni. La storia della psichiatria le deve qualcosa.
VII secolo. Dinfna era figlia di Damon, un re irlandese pagano. Folle, come vuole la leggenda. La madre era donna di straordinaria bellezza. Quando morì, Damon dapprima cercò un’altra donna, poi s’invaghì della figlia quindicenne, bella come la madre.
Dinfna in fuga con l’anziano confessore Gerebernus, suo padre a inseguire. A Geel, in Belgio, Damon li ritrovò. In preda alla follia, li decapitò entrambi. Sul luogo del martirio fiorirono miracoli, soprattutto guarigioni di malati di mente. Oggi parleremmo, con maggior dettaglio, anche di disagi neurologici come sonnambulismo ed epilessia.
Geel divenne meta di pellegrinaggi. Ma non vi erano né ospedali né strutture. I pazienti giravano per la città. Socializzavano con gli abitanti andando a messa o lavorando nei campi, recuperati a una vita normale. Nei secoli, questo tipo d’interazione tra i cittadini di Geel e gli affetti da disagi psichici si è consolidato, è diventato metodo. Oggi circa mille pazienti psichiatrici sono abitualmente ospiti dei 35mila abitanti della cittadina belga. Qui sorge un istituto psichiatrico all’avanguardia, in cui i pazienti tornano soltanto alla sera per dormire. E Geel viene sempre citata come sede della più importante esperienza di deistituzionalizzazione spontanea. Si ha notizia che i familiari di Van Gogh pensarono, per Vincent, a Geel.