LA GUERRA NEI RICORDI DI UN “MATO”
(Alessandra Vendrame, il Gazzettino, 14 febbraio 2002)
Il protagonista sceglie una lucida follia per sottrarsi all’assurdità di quel che accade fuori
Avrebbe potuto diventare il protagonista di un romanzo di successo. Invece Gian Domenico Mazzocato per raccontare la storia di Ugo Vardanega che diventa matto a causa della guerra ha puntato dritto al palcoscenico. Forse perché una volta cresciuto e uscito dalla sua penna, questo contadino possagnoto che con la guerra ha perso tutto, gli è sfuggito di mano. L’ha visto lievitare di espressività sotto i suoi occhi, ed è ricorso al teatro per contenerlo. Una storia traboccante come l’energia del suo protagonista.
Mazzocato, chi è Ugo Vardanega?
È un umile soldato-contadino della nostra terra che nel ‘15-’18 ha vinto la guerra ma ha perso tutto il resto, la famiglia, gli amici, l’onore e la sua identità fino a diventare un “mato de guera”. È un profugo della vita che non sopporta la retorica e l’enfasi che, alla metà degli anni Trenta, inneggiavano ad una nuova guerra e alla costruzione di ossari non per onorare i morti, ma per preparare un nuovo conflitto. Si sente usato, sente usata la sua memoria. Viene picchiato e internato. Scoppia allora in maniera definitiva. ecco che scatta in lui la follia, l’unico spazio dove può urlare il suo dissenso.
Si tratta dunque di un “elogio della pazzia”?
Sì, perché non la subisce ma la gestisce, e la tiene sempre controllata. La follia diventa allora l’unica misura della normalità, di uno spazio proprio dove sentirsi protagonisti. È questa la chiave di lettura che il regista Roberto Cuppone ha voluto dare.
Perché la scelta di scrivere un’opera in dialetto trevigiano, non limita forse ad un pubblico locale?
Il dialetto è l’unica lingua in cui il fluire dei ricordi del protagonista poteva essere raccontato. C’è un solo passaggio in italiano. Tutto il resto è in un dialetto trevigiano duro, pieno di immagini di terra, sangue e di sofferenza ma che sa anche divertire combinandosi perfettamente alla gestualità e all’espressività di Ugo Vardanega.
Cosa c’è di trevigiano oltre al dialetto?
I luoghi innanzitutto. La maggior parte della scena si svolge tra l’osteria ai Due Mori e a quella della Clonetta, ci sono i tanti personaggi che hanno fatto la guerra ai quali il protagonista presta la voce. Poi di trevigiano c’è Gian Domenico.
C’è un lieto fine?
Il protagonista capisce che non si può morire due volte e giunge ad una accettazione stoica e virile della realtà.