LITUANIA, LETTONIA, ESTONIA, COSI’ VICINE, COSI’ DIVERSE
La gru ti cammina a fianco, sul ciglio della strada, ti attraversa il cammino. Ti costringe a guardarla. Ha un passo da regina, quello che le succede attorno non la riguarda. Poi si mette a correre. Devo ammettere: è un po’ goffa quando spicca il volo, ma solo per un attimo. Poi ha un volo di aquilone, consapevole, ampio. Dio come è bella la gru, come ti guarda impassibile dai suoi nidi, come la invidio. Chissà che idea si è fatta del mondo degli umani. Sempre con noi, beccolungo e volo imperiale, in questo viaggio-scoperta in riva al Baltico.
Lituania, Lettonia, Estonia: tre paesi giovanissimi dalla storia antica. In cerca di una identità, ognuna con peculiarità proprie francamente ancora indecifrabili per il visitatore pur attento. Tre lingue diverse: addirittura l’estone appartiene al gruppo ugrofinnico (quindi estranea al ceppo indoeuropeo) e diventa la terza lingua nazionale di quel gruppo dopo finlandese e ungherese; tre monete diverse e dal valore lontanissimo l’una dall’altra (noi, forti della nostra esperienza, usiamo carta di credito per ogni pagamento e bancomat per gli spiccioli di tasca); la Lituania ancora vicina al modello polacco, la Lettonia influenzata dalla vicina Bielorussia, l’Estonia che sembra guardare (anche per motivi linguistici, come si è appena detto) alla dirimpettaia Finlandia.
Dopo quasi un secolo di soffocante e appiattitore regime sovietico, tutte e tre rivendicano autonomia culturale, politica, civile dopo l’ottenuta indipendenza dalla Russia all’inizio degli anni 90 (ma qui si parla senza mezzi termini di liberazione). Con tutto il bene e tutto il male di tante situazioni simili a questa. Tre paesi vivi, simpatici, aperti, disponibili a progettare futuro, attenti al proprio patrimonio storico. Ma in corsa, talora acritica, verso i miti del consumismo occidentale. Si notano grandi ricchezze e persistenti, radicate povertà. A Vilnius, subito dopo il crepuscolo, ho parlato con due vecchine che vendevano mazzetti di fiori raccolti nel loro giardino (4 litai, poco più di un euro). Ho avuto la sensazione che avessero aspettato il buio per coprire una quasielemosina. Ho dato loro le monete, ho scelto il fiore meno appariscente e l’ho strappato. Poi ho restituito il mazzetto. Non so se hanno capito.
Sulla strada di questa identità mi pare che giochi un ruolo importante la riappropriazione della religiosità e dei simboli fisici di questa. A Kaunas abbiamo visto gioia, orgoglio e apprensione sul volto delle monache (alcune giovanissime. C’è il divieto assoluto di fotografare ma basta una strizzata d’occhio per ottenere sorridente complicità) del monastero di Pažaislis. Seguono il restauro del vecchio complesso camadolense: ora cominciano ad arrivare fondi pubblici, c’è consenso. Le suore mostrano spazi vuoti: qui c’era uno stucco prezioso, lì una statua. Tutto razziato dai sovietici. Sotto il regime il monastero era diventato un ospedale psichiatrico. Il paesaggio resta ammaliante. Le tre repubbliche coprono una superficie complessiva di 175mila kmq in cui abitano 7 milioni di persone. Densità dunque molto bassa (circa 40 abitanti per kmq, un quinto dell’Italia). Per di più gran parte della popolazione gravita attorno alle città e così si possono vedere spazi enormi disabitati e selvaggi. Non esistono alture e il paesaggio piatto offre foreste e laghi, spiagge, paludi, isole, dune oltre a terreni coltivati. Si sta davvero bene, lo spirito si sente libero, si gode la natura.
E tuttavia la viabilità resta sotto qualsiasi standard di accettabilità. Ci sono lavori in corso un po’ ovunque. Il camper procede a rilento e le sospensioni sono messe a dura prova da buche, lunghi tratti sterrati, asfalto deformato (soprattutto, con grave pericolo, in prossimità degli incroci e degli snodi stradali), logoro e talora rattoppato come peggio non si potrebbe. A volte percorrere un centinaio di km costa più di mezza giornata. Su una strada sterrata un camion si era divorato tutta la carreggiata e giaceva ruote all’aria nel fosso vicino.
In tutto 5500 kilometri in 19 giorni (dal 15 luglio al 2 agosto 2006) attraverso Austria, Cekia, Polonia. La viabilità disastrosa di questi due ultimi paesi pare talora addirittura peggiorare in Lettonia, Lituania, Estonia. Per di più la segnaletica è carente. Di campeggi nemmeno parlare. In questo viaggio ne abbiamo trovato uno (splendido, idilliaco) vicino ad un lago (…. ma con qualche controindicazione, come dirò). Poi zero. Riga e Tallin hanno un camping vicino al centro storico ma è una spianata di cemento e asfalto, tra case e fabbriche. A Kaunas l’unica offerta da noi trovata era un cantiere navale, invaso da rottami e macchinari e distante mezzora di cammino (!) dalla più vicina fermata del bus. No, grazie. Non esiste una carta dei campeggi e nemmeno le preventive, minuziose ricerche in internet ci hanno aiutato. Ma è la metà piena del bicchiere quella che piace di più: l’incognita stimola il piacere dell’avventura.
15 – 18 luglio
il viaggio comincia con qualche difficoltà. sulla strada per Tarvisio il traffico è intenso. Ci sono parecchi incidenti, alcuni anche gravi come dimostrano gli imponenti mezzi di soccorso (elicotteri compresi). Il più grave, quello che ha originato tutti gli altri in una sorta di domino, ha visto due autocarri agganciarsi in galleria. Quando passiamo vicino ai rottami l’effetto è terribile. A Pontebba usciamo dall’autostrada. Passiamo la prima notte nel parcheggio di un supermercato in un paesino austriaco. Il giorno dopo entriamo in Cekia. Anche qui come è noto, bisogna pagare il bollino/vetrofania che consente di circolare liberamente: però visto quanto offre la viabilità, è un furto. Prendiamo la direzione di Brno, con qualche apprensione da parte di Egle e mia perchè la batteria di servizio del camper muore di colpo, con tutte le conseguenze immaginabili. Ho sempre una batteria di riserva e tampono in qualche modo, comincio a guardarmi attorno per vedere se trovo qualcuno che mi aiuti. Ma è domenica, che vuol dire tutto chiuso. Lo scorso anno, nel nostro viaggio in Polonia, ci siamo fermati da queste parti perchè qui c’è Slavkov (cioè l’Austerlitz della grande vittoria napoleonica). Ora privilegiamo la visita allo Spilberk, il castello-fortilizio che domina Brno e che è stato prigione di tanti patrioti italiani, come Pellico (che ne ricavò la materia per il suo straordinario Le mie prigioni), Maroncelli, Confalonieri. Oggi, perfettamente restaurato, il complesso, per quanto imponente, ha un aspetto perfino gentile, ospita un museo e, nel suo cortile centrale, concerti e manifestazioni teatrali. É la meta di una dolce passeggiata che porta a godere di un panorama stupendo, tra città e campagna, di questa parte della pianura ceka.
Passiamo il confine con la Polonia a Cesky Tèsin. Notte a Tychy, rassicurati dall’insegna della locale concessionaria Fiat. Al mattino risolviamo tutto in pochi minuti con poca spesa (e grande sollievo). Semplicemente l’alternatore non caricava la batteria, un problema nei collegamenti. Troviamo simpatia, cordialità, prontissima collaborazione. Al suo arrivo, Alexandra, l’addetta alla reception, nemmeno si toglie il soprabito e ci mette subito in contatto col capofficina. Felici della soluzione. Ora direzione Katowice e poi Varsavia. Alla sera dormiamo nel parcheggio di un ristorante a Lomźa e al mattino prendiamo la direzione per Augustow e Suwałko.
18 luglio
Il confine con la Lituania è a Budzisko (i controlli sono discreti e rapidi). Ci dirigiamo verso Kaunas, città un po’ strana, disseminata sulle colline e difficilmente decifrabile per chi ci arriva per la prima volta. Cercando un campeggio (la cortesia di un gestore di distributore di benzina lo spinge a farci da guida con la sua macchina) capitiamo nei paraggi dello splendido lago di Kauno. Ma il campeggio è quel buco di cui dicevo prima. Il lago è dominato dal monastero di Pažaislis che è un fervore di lavori. È una cittadella immersa nel verde e all’esterno assomiglia ad una fattoria. L’interno è davvero impressionante, nonostante i furti, con i suoi marmi policromi, la grande meridiana esterna, gli stucchi (o quel che ne resta) delle sacrestie. Nel tardo Seicento, quando iniziò la costruzione, furono chiamati a sovrintendere gli italiani Palloni e Merli. L’interno della chiesa è decorato da 140 affreschi dedicati soprattutto alla vita di Maria. La culminazione è la bellissima Assunzione. Le suore parlano un misto di latino, tedesco, inglese, perfino italiano: un autentico, simpaticissimo esperanto che consente loro di spiegarsi bene e illustrare il patrimonio artistico. Qualcuno del nostro gruppo (siamo 3 camper, uno poi si dividerà da noi) desidera iniziare la ricerca di un campeggio. A malincuore lasciamo Kaunas di cui ci mancherà la visita al centro storico e soprattutto la visione della famosa collina delle croci Kryžių kalnas, vicino a Šiaiuliai. Qui milioni di croci affollano la collina: una tradizione iniziata a metà dell’Ottocento e che di volta in volta ha significato lo spirito di indipendenza di questa gente: dalle sommosse antizariste alla resistenza all’egemonia sovietica.
La ricerca di un campeggio. Impariamo a nostre spese come sia difficile, quasi impossibile. Ci dirigiamo a Klaipèda, città sul mare (proprio davanti alla penisola curlandese) e dunque, ci pare, più attenta alla ricezione del visitatore. Proviamo lì vicino, prima a Nemirseta, poi a Kalotè. Ci arriviamo nonostante la strada sterrata e stretta che vi conduce. Ma nel primo caso troviamo un desolato campo di patate dove ognuno si piazza come vuole e con servizi fatiscenti e perfino imbarazzanti per pochezza e sudiciume. Nel secondo le cose vanno un po’ meglio, ma non ci danno l’elettricità. Devo ricaricare la batteria e ciò equivale ad una condanna a morte. Ci rifugiamo nel parcheggio di un supermercato nel centro di Klaipèda. La notte è tranquilla. Però…
19 – 20 luglio
Klaipèda è una città simpatica, con una parte moderna fatta di larghe strade e centri commerciali e una parte antica che si affaccia sulla sponda meridionale del fiume Danė, con le sue caratteristiche case a graticcio, frutto di
amorevole restauro dopo le distruzioni della guerra. I negozi sono allegri e c’è un ufficio turistico prodigo di
indicazioni e materiali. Cominciamo a fare conoscenza con una presenza che ci accompagnerà ovunque: l’ambra. Bancarelle da ogni parte. Il regno dell’ambra. Ma davvero ne esiste tanta da alimentare un mercato così diffuso e con prezzi tanto dissimili da un luogo all’altro? Agli sprovveduti vengono rifilati tarocchi di pieno: che dire di un magnifico uovo che include uno scorpione intero? Impossibile tuttavia sfuggire al fascino di questa resina fossile e non comperare. Egle ed
io risolveremo tra qualche giorno, nel modo che dirò. La cittadina è dominata dalla collina su cui sorgeva un tempo ilcastello difensivo: dietro si prende il ferry che in qualche minuto traghetta sulla penisola curlandese, questa strana e suggestiva lingua di terra (lituana per una cinquantina di km e per
il resto russa). Dovessi ripetere l’esperienza, traghetterei col camper o almeno con la bici. Tuttavia i mezzi pubblici sono frequenti e consentono anche di fare tappe intermedie. Si scende dal ferry nel villaggio di Smiltynė e le tappe successive sono Juodkrantė, Neringa e soprattutto Nida, vicino al confine con la Russia, con le case dipinte, i suoi boschi, le spiagge dalle immense dune sabbiose e le caratteristiche banderuole multicolori. Da visitare la chiesacattolica, su una collina, con il cimitero popolato da croci scolpite nei modi più strani. E sono croci che si trovano ai piedi del sepolto, non in testa: al momento della resurrezione saranno stampella e appoggio. A Juodkrantè sorge la collina delle streghe: un itinerario di circa un’ora tra boschi e sculture lignee grottesche. Di una simpatia unica, imperdibile. Notte nello stesso parcheggio. La mattina successiva visitiamo i resti del castello e la parte nuova. Ampio il parco delle sculture marmoree (su un lato sorge il grande monumento bronzeo ai caduti) e originale il museo dell’orologio. Nel pomeriggio ci
spostiamo a Palanga, la più prestigiosa stazione climatica di questa costa baltica. Bella, animata, con un lungo viale che reca almare e che viene percorsa tra bancarelle, attrazioni varie, artisti di strada. Un bel pomeriggio nel sole (e il tramonto sul Baltico ha odori e colori unici). Ad un capo della cittadina sorge, al centro di un vasto e verdissimo parco, il museo dell’ambra, o meglio del gintaro, come lo chiamano qui. Istruttivo e didatticamente efficace: apprendiamo per esempio che, grazie alle inclusioni nell’ambra, è stato possibile classificare migliaia di insetti preistorici estinti. Le inclusioni sono spiegate ed evidenziate da poderose lenti a disposizione del visitatore.
Molto ricco lo shop del museo. Mi dico: se c’è un posto dove ho la garanzia di acquistare ambra autentica, eccolo qui.
Acquisto un collier per Egle, davvero bello ed originale, con braccialetto e orecchini dall’identico design. Spendo bene: circa un centinaio di euro.A proposito. Nel parco, all’uscita, troviamo una grande statua dedicata all’eroina della mitologia locale. È la regina dei serpenti e si chiama Egle. Mia moglie non è contenta.
A Palanga non è facile trovare parcheggio. Con la simpatica sfrontatezza del camperista chiedo ospitalità alla locale sezione di vigili del fuoco: dietro la caserma hanno giardini ombreggiati. Accordata e, mi pare ovvio, risolviamo anche il problema del rifornimento d’acqua.
21 – 22 luglio
Il confine con la Lettonia è a due passi. La prima città che visitiamo è Liepāia, terza città del paese, dagli ampi parcheggi. Siamo sulla Lielā iela, il grande viale che la attraversa tutta. Cominciamo dallo splendido barocco (invero un po’ trascurato) della chiesa della Trinità e terminiamo nello Jūrmalas parks, ampio e alberato, che ci porta alla spiaggia. Ci dirigiamo verso Aizpute, un villaggio senza ufficio turistico. Ma ci aiuta un poliziotto che arriva a staccare dalla parete del suo ufficio l’unica piantina locale di cui dispone. Proprio ai margini del villaggio, su una collina, e in riva al Tebra (Aizpute era un porto fluviale) si vedono i resti della massiccia fortezza teutonica che risale al tredicesimo secolo: i muri maestri sono ancora in piedi, ma tutto è in abbandono, perfino con qualche bel cumulo di rifiuti. Un restauro restituirebbe un gioiello. Ora alla ricerca di un camping che, dopo vari pellegrinaggi, troviamo a Nebes Ezeri. È il Nabitte camping e sorge sulla riva di un lago. Posto fantastico, da idillio. C’è un molo e c’è una piccola spiaggia. Siamo in una foresta di conifere, nel triangolo disegnato dall’emissario e dall’immissario del lago. Odori, suoni, colori, spazi immensi: dall’alba al tramonto è un invito al relax. Giusto allestire il barbecue e tirar fuori i libri portati da casa. Ci fermiamo due giorni anche perchè il camping costa nemmeno 6 euro (4 lati cioè, docce a parte). Un sogno? I limiti non mancano: per raggiungere il camping bisogna fare alcuni km su una mulattiera stretta, tutta buche, curve e radici affioranti. E poi, incredibilmente, nella notte tra sabato e domenica, il camping diventa discoteca sotto le stelle. Musica a livelli altissimi fino all’alba. Al mattino non si stentano a riconoscere i segni della nottata passata a bere, mangiare e ballare.
23 – 26 luglio
La prossima meta è quel gioiello di cittadina che risponde al nome di Kuldīga. Sorge alla confluenza di due fiumi, il Venta e l’Alekšupīte, con i loro ponti grandi (imponente quello in mattoni, il Kuldīgas tilts) e piccoli, le cascate e i giochi d’acqua. Se il paesaggio è suggestivo, non di minore effetto è l’impatto col piccolo centro storico che è rimasto così immutato nei secoli che vie e piazze sono la location preferita di registi e cineasti per film di ambientazione storica. Visitiamo la piazza del municipio (con la sua antichissima casa in legno che risale alla seconda metà del Seicento) e le chiese delle varie religioni. La chiesa luterana ha quasi otto secoli di vita e rimane di grande suggestione nonostante i successivi rifacimenti. Kuldīga resta negli occhi e nel cuore.
Una splendida preparazione alla bellezza che ci attende, quella di Riga. Percorriamo la A 10 (E 22). Alla periferia seguiamo le indicazioni per il centro e, poco prima del maestoso ponte che attraversa la Dvina, scorgiamo il cartello che ci indica il vicinissimo Camping Riga Center. Una spianata di asfalto, ma i servizi sono confortevoli e il centro di Riga si può raggiungere in pochi minuti a piedi (la bici è l’ideale, anche se attraversare certe arterie è un’impresa). Il pomeriggio e il giorno seguente sono dedicati alla visita della capitale lettone. Antico e moderno convivono, ovunque si vedono attività di ricostruzione e restauro. Circola un evidente e crescente benessere anche se i prezzi registrano distanze abissali tra i negozi del centro e gli immensi, pullulanti, vivissimi mercatini generali che sono nella immediata periferia poco oltre la grande stazione centrale dei bus, ospitati nei 5 immensi hangar che servivano da ricovero ai dirigibili tedeschi. È il Centralāis Tirgus: quasi centomila metri quadrati in cui si trova tutto, ma proprio tutto.È necessario possedere un libro guida, ma in questa città (non immensa, poco più di 800mila abitanti) ci si ritrova subito: si prendono per riferimento i ponti sulla Dvina alle spalle e i campanili delle chiese in fronte e non si sbaglia nemmeno a cercarsela. Si gravita attorno al Brīvības bulvāris, la grande arteria che attraversa il centro della città. Il campanile per eccellenza è quello della Doma baznīca, il duomo luterano con il suo grande organo e le lapidi su cui è incisa la storia di questo paese, nei nomi delle persone che hanno detenuto poteri civili e religiosi, hanno combattuto per questa terra, hanno studiato e insegnato. Visitiamo il Rīgas pils, il castello che domina la città e che ora è sede della presidenza della repubblica; i Trīs brāli (I Tre Fratelli, antica casa mercantile, la più vecchia
della città); le mura; la Svētā Jaņa baznīca, l’antica chiesa domenicana, la Svētā Pētera baznīca, la chiesa di san Pietro che nei suoi otto secoli di vita ha conosciuto ogni tipo di traversia (nel 1666 crollòperfino la grande torre provocando molti morti). Poi il Valts mākslas Muzejs, il museo d’arte nazionale che offre una bella panoramica di gusti e tendenze dell’arte lettone. Riga offre il meglio di sè in una inestricabile commistione di barocco e liberty (un liberty inatteso, ricco, luminoso). Poi ancora il grande monumento alla libertà con la sua colonna altissima che è il vero e proprio ombelico
dellacittà. Fascino grande, come si diceva.Il giorno dopo (in camper, perchè si trova ad una ventina di km dal centro storico, proprio in fondo al Brīvības bulvāris) visitiamo il grande museo etnografico all’aperto che ha ormai quasi un secolo di vita e raccoglie più di cento edifici rurali, chiese e mulini a vento. Imperdibile perchè questa è, in piccolo, l’intera Lettonia: con i suoi oggetti, i suoi strumenti, i suoi pozzi e i suoi ambienti domestici, perfino con le sue divisioni religiose e le chiese delle diverseconfessioni. In una di queste un barbuto signore ci illustra riti e oggetti della antica religione ortodossa.
25 – 26 luglio
Usciti dal museo etnografico, ci dirigiamo verso l’Estonia, direzione Tallin (Tallina, come leggiamo nella toponomastica
locale): Parnu, prima in direzione Lihula (60) e poi Virtsu (10) perchè prima della capitale estonevogliamo visitare l’isola di Saaremaa. A Virtsu prendiamo il traghetto (190 corone estoni, meno di 12 euro per un paio d’ore di traghetto che offrepanorami indimenticabili). E anche (come sempre in queste occasioni) conoscenze incredibili. Nella pancia del ferry accanto a me parcheggia una macchina con carrello: su di questo i rottami di una BMW degli anni Trenta, recuperati chissà dove, e destinati ad essere sottoposti a un restauro dalle persone che ho davanti, una intera famiglia di appassionati. Chiedo di fotografare la loro scoperta e amicizia è fatta. Ci scambiamo indirizzi e informazioni.Sbarchiamo al tramonto nell’isola di Muhu ed ecco il lungo ponte che la collega a Saaremaa. Per la notte individuiamo, a destra subito dopo lo sbarco, il villaggio di Orissaare. Non mancano comodi e tranquilli parcheggi, ma chiediamo ospitalità nel vicino porticciolo.Notte splendida col rumore del mare e risveglio con l’urlo dei gabbiani. Al mattino raggiungiamo la capitale, Kuressaare, animata cittadina (sui 15mila abitanti) che esibisce con orgoglio le sua larghe vie, le viuzze medievali e le sue case dal gusto neoclassico. Ha ampi parcheggi e un mercatino dell’artigianato locale. Soprattutto individuo qualcosa come cinque diverse botteghe di antiquariato. Tre di queste, a dire il vero, sono di rigattieri. Quelle dove si pesca meglio e infatti trovo per pochi soldi due splendidi macinini in legno per la mia collezione (uno ha un manico che è una vera scultura in ferro con la data di costruzione incisa: 1887). La passeggiata termina in riva al mare, dove la spiaggia larga è dominata dal Linnus, il grande castello vescovile, il cui primo nucleo costruttivo risale al tredicesimo secolo. È perfettamente restaurato, ospita il museo di storia locale e ha, all’esterno, spazi per concerti e spettacoli. Nel pomeriggio ci fermiamo a Kaali, un gruppo di case appena. Ma qui vicino 1600 anni fa sono caduti alcuni meteoriti che hanno scavato dei crateri: il più grande misura 110 metri di diametro e ha anche una pozza d’acqua nel fondo. Un evento che ha segnato la mitologia baltica. Di nuovo traghetto, a Kuivastu, la piccola capitale dell’isola di Muhu. Raggiungiamo in un paio d’ore Tallin, dove, in località Pirita, troviamo il Tallin City Camping. Anche qui cemento (rovente) ma ottimi servizi. Il prezzo è in linea con quello di Riga, 360 corone estoni (circa 23 euro), e la fermata dell’autobus è a due passi.
27 – 28 Luglio
Tallin: nemmeno 500mila abitanti, un terzo della popolazione dell’intero paese. Si guarda alla Finlandia, ma metà della popolazione è russa. Il russo pare essere la lingua ufficiale. È una città in ricostruzione, ma attenta al suo passato e alle sue radici: ad ogni angolo cartelloni pubblicitari che richiamano il programma di un festival di musica popolare o di un festival di danze o di un meeting culturale. Il centro (e la prima meta per noi) è la Toompea, la collina della cattedrale con le sue erte ascese, la sua piazza e i panorami che si estendono a perdita d’occhio sulla città sottostante. Le due regine sono la cattedrale ortodossa con la sua mole imponente dominata dal colore rosso e la cattedrale luterana (la Toomkirik) con le sue tre ampie navate che ospitano lapidi di personaggi famosi. Facciamo il giro della cinta muraria con le sue caratteristiche torri a tetto rosso e conico. Ridiscendiamo nella città vecchia (la Vanalinn), che ha il suo centro nella Viru Värav, la grande piazza con bancarelle, negozi, caffé. L’altro polo della città vecchia è l’ampia piazza del municipio (la Raekoja plats) custodita, a mo’ di sentinella, dall’alta e snella torre ottagonale del Raekoda (il municipio, appunto). Anche qui serve un minimo di guida scritta e, al solito, la voglia di andare a zonzo e “scoprire”. La Pühavaimu kirik è la Chiesa dello Spirito Santo, con la torre, la guglia e il suo orologio che risale al Seicento; le Kolm Õde, le Tre Sorelle, sono le tre case mercantili che fanno il paio con i Fratelli di Riga; la Niguliste kirik è la chiesa di san Nicola che ha al suo interno un quadro famoso, la Danza della Morte. Bernt Notke la dipinse alla fine del quindicesimo secolo. Tutto testimonia la ricchezza grande nei secoli di questa splendida città anseatica, sede di commercio, di affari, di contrattazioni. Il suo spirito è forse nel ritmo che ispira chi si muove nel centro storico: strette vie e slarghi improvvisi. A Tallin si avverte il respiro di una città che si sta rinnovando ma che ha spazi sereni per il suo passato. Certi angoli (penso alle mura e alle torri) sembrano aspettare la location di qualche favola medievale. La gente è serena e perfino la bancarellaia che vende berretti di lana ad un angolo ha una dignità austera. In serata partiamo per Tartu, capitale culturale dell’Estonia e sede universitaria. Passiamo la notte nel parcheggio di un centro commerciale della città.Tartu è la seconda città estone, viva, allegra, pulsante. Ha il suo cuore nella Raekoja plats, la piazza del municipio, con una grande fontana, edifici neoclassici su tre lati e il fiume Ermajõgi a chiudere il rettangolo. In una via laterale due giovani studenti, appollaiati su una impalcatura, restaurano l’affresco di una facciata. È mattina presto e i negozi cominciano ad aprire. É dolce cogliere questa attiva città nel momento del risveglio. Ad ogni angolo spunta una chiesa ortodossa e si capisce che la processione dei fedeli che baciano le antiche icone sfiorate da secoli di labbra appoggiate è iniziata già da un pezzo. Ecco la facciata neoclassica dell’università. Campeggia una bella scritta in latino: Universitas tartuensis. Su un lato un muro apre tante finestre e da ognuna si affaccia un gruppo di professori con tutta la gamma di espressioni dipinte in volto: dal più sbarazzino al più serioso. È solo un affresco ma conferisce a questo angolo di città una verve inimitabile, un tocco di gioiosa fantasia assente altrove. Di fianco si eleva la collina cui si arriva transitando sotto il ponte degli Angeli e su cui ci si inerpica con qualche fatica (mia soprattutto: a Riga hofatto un rovinoso ruzzolone in bici e arrampicarmi mi stronca il fiato). Ne vale la pena. Ci accolgono le imponenti rovine della Toomkirik, la cattedrale di origine teutonica dedicata ai santi Pietro e Paolo. Ferve il recupero e nella parte integra sono ospitati un museo di oggetti scientifici e una biblioteca. Volendo si può salire su quello che resta dell’antico campanile. É l’ultima cosa cui penso, ansimante come sono. Dalla parte opposta sorge la splendida chiesa in mattonidedicata a san Giovanni (la Jani kirik) con il suo impressionante interno e le sue sculture in terracotta.E ora la capitale che ci manca (ed è anche un modo per cominciare il ritorno verso sud). Vilnius dista un po’ meno di 600 km. Prendiamo la direttrice (P 30) che passa per la cittadina lettone di Madona. Per la notte ci fermiamo a Utena, già in territorio lituano, un centinaio di km a nord di Vilnius. A cercar campeggi abbiamo rinunciato da un pezzo: ci accoglie come sempre un centro commerciale.
29 – 30 luglio
Vilnius è un po’ come Roma. Sorge su sette colli ed è attraversata dal fiume Neris. Più in piccolo, si intende, nemmeno 600mila abitanti. La statale porta nella parte nuova caratterizzata da ampi spazi e da strade che si intersecano ortogonalmente. Un rapido giro e ci dirigiamo verso la parte storica. Troviamo un ampio parcheggio (con qualche difficoltà: molti lavori in corso e tanti sensi unici. Ci muoviamo per qualche minuto alla cieca, con comprensibile disagio) vicino ad un parco, a due passi dalla Casa Bianca, sede della presidenza, e dal centro della città. Di pura fortuna: ci siamo fermati solo perchè abbiamo visto la “i” di un ufficio di informazioni. Tutti i park sono a pagamento ma la macchinetta del nostro non funziona. Sappiamo che qui sono molto fiscali. Ne abbiamo viste di ganasce sotto i pneumatici. Fiscali? Ma quando mai. Arriva il tecnico della manutenzione, apre la macchinetta, ripara e poi, armeggiando un po’, ci porge il biglietto. Voglio pagare, ma lui ci fa capire che ce lo regala in segno di ospitalità. Non ho parole. Letteralmente. Lui parla solo lituano. Si vede che va bene così, grazie.
Giornata per Vilnius, dunque. Sabato, non un giorno come tutti gli altri da queste parti. Di sabato ci si sposa e si amministrano i sacramenti. Nel cuore della città assistiamo al formarsi di tanti piccoli cortei: abiti eleganti, veli da sposa, talora costumi tradizionali. I preti della cattedrale (l’Arkikatedra) lavorano a tempo pieno. Sposano una coppia, poi un’altra, poi un’altra ancora. Gli sposi, subito dopo il rito, escono dalla chiesa, posano per le foto con amici e parenti e poi vanno a festeggiare. Gioia, allegria (qui si fanno volare petali di fiori) che un po’ contrastano con l’austera facciata neoclassica. Visitiamo di corsa l’interno che è invece dominato dal barocco, soprattutto nella notevolissima cappella di san Casimiro.
Non è solo ritualità, non solo vuota liturgia. Qui il fatto religioso è centrale, significativo. Dopo anni di dominazione sovietica la Lituania ha esercitato un po’lo stesso ruolo della vicina Polonia: diga da una parte contro la riforma luterana, dall’altra contro l’ortodossia russa. La cattedrale ne è il simbolo. Cattedrale recuperata perchè sotto i russi era diventata galleria d’arte. Davanti a questa, isolata, sorge la strana torre campanaria, cilindrica alla base e ottagonale nel corpo con il cupolotto circolare in metallo, frutto delle rielaborazioni succedutesi negli anni. Sul pavimento della grande piazza, proprio vicino alla torre campanaria, si nota una piastrella diversa da tutte le altre. In caratteri multicolori è scritta una parola che significa “miracolo”. In questo punto, nel 1989 finì la catena umana che partiva da Tallin e unì lituani, lettoni ed estoni in una striscia lunga 650 km. Il miracolo dell’indipendenza arrivò davvero qualche mese dopo. E oggi, chi mette un piede sopra e compie una piroetta, può esprimere un desiderio. Qui giurano che è così.
Sulla piazza incombe la collina della Gedimino bokštas, la massiccia torre ottagonale, unico elemento ancora integro del grande castello-fortezza che fu fondamentale in più occasioni per la difesa della città. Vi si sale con una comoda funicolare e si può discendere a piedi per gli ampi viali. Poi Vilnius, tra neogotico, barocco e neoclassico, esibisce una serie infinita di chiese, alcune raccolte, altre di grande impatto. Neogotica è la luterana basilica di sant’Anna (la Šv. Onos bažnyčia) dietro alla quale sorge la gotica chiesa dedicata a san Bernardino, che faceva parte di un convento francescano e che ha al suo interno 12 altari in legno scolpito. Poco più in là la Skaičiausios Dievo Motinos Cerkvė, la grande chiesa della setta ortodossa dei Vecchi Credenti. Seguendo la Pilies gatvė, si raggiunge la splendida Šv. Kazimiero bažnyčia, la prima chiesa barocca di Vilnius, costruita per i Gesuiti nella prima metà del Seicento la cui cupola termina a corona per simboleggiare il sangue reale di Casimiro. Oggi è una chiesa cattolica, durante l’occupazione sovietica era adibita a museo dell’ateismo. Sulla Aušros Vartų gatvė si affaccia la Švenosios Dvasios Cerkvė in un barocco che richiama quello di tante chiese di Roma. È la principale sede del culto ortodosso a Vilnius. Poco lontano sul lato opposto si affaccia la basilica di santa Teresa, parte di un monastero domenicano e dall’interno rococò frutto di un restauro seguito ad un incendio.
Infine da non perdere l’Universitetas, il complesso universitario (proprio al centro di Vilnius, di fianco alla cattedrale) in cui è possibile rintracciare (si tratta di ben 12 edifici) un po’ tutti gli stili architettonici di Vilnius. Non dobbiamo certo guardare la piantina per individuare l’università: questa deve essere anche stagione di lauree e da queste parti circolano, simpaticamente alticci e coinvolgenti, molti gruppi di ragazzi e ragazze nelle fogge e con i travestimenti più strani. Dietro l’università ecco la Šv. Jono bažnyčia: oggi è la cappella dell’università e, durante il regime sovietico, ospitava il museo del pensiero scientifico. Particolarissimo l’altar maggiore composto da dieci altari più piccoli. Chiudiamo la giornata tornando sulla Pilies gatvė, affollata di bancarelle con prodotti artigianali. Alcune bancarelle propongono autentico brocantage: c’è il solito apparato di reperti sovietici (medaglie, abbigliamento, colbacchi e cappelli vari) ma Egle riesce a trovare qualche bel pezzo per la sua collezione di cartoline pasquali.
La notte (il nostro park sin trova sulla Vilniaus gatvė) è tranquilla. Vicino a noi tiene aperto 24 ore su 24 un chiosco bar che è un porto di mare: discreto, pochi posti a sedere, sempre qualcuno a ordinare un caffé, un liquore, un panino. Troppo ghiotto: verso l’alba mi alzo e vado a fare due chiacchiere con chi capita. Chiedo soprattutto la strada per il giorno dopo. Mi fa addirittura una piantina su una salvietta un simpatico taxista. Direzione Trakai.
Trakai era l’antica capitale. Oggi vive attorno al suo bellissimo castello che sorge in mezzo alle acque di un vasto complesso lacustre che comprende i laghi Galvė, Totoriškiai, Luka. Lo si raggiunge attraverso ponticelli in legno e la visita dell’interno è un autentico tuffo nel passato con le diverse sezioni museali che illustrano storia e personaggi lituani. Una conclusione davvero sontuosa del nostro viaggio.
31 luglio – 2 agosto
Il ritorno: Mariampolè, il confine con la Polonia a Budzisko, la prima notte a Ostrow (ci offre ricovero davanti alla chiesa il giovane parroco), la seconda a Bielsko-Biała sempre davanti alla chiesa, dove ci saluta Gregorio, un ragazzo di qui, che ha lavorato a lungo in Italia e parla in perfetto accento emiliano e adesso si è messo in affari. Commercia in macchine. L’ultima notte è in Austria, in un paesino dove chiudiamo con una grigliata di carne in un locale tipico.