MATO DE GUERA
di
GIAN DOMENICO MAZZOCATO
con
LUIGI MARDEGAN
SCENE E COSTUMI di STEFANO MERLO
COSTUMI realizzati da
ATELIER NICOLAO -Venezia
MUSICHE scelte da
ROBERTO CUPPONE e REMIGIO BIRAL
REGISTRAZIONI MUSICALI
a cura del VIRTUAL STUDIO -Treviso
OPERATORE FONICA: REMIGIO BIRAL
LUCI: LUPO CALABRETTO
AIUTO REGIA: REMIGIO BIRAL
Regia di: ROBERTO CUPPONE
CONSULENZA alla DRAMMATURGIA: LUIGI LUNARI
Si ringrazia per la consulenza il Dott. GIOVANNI CAMPO -psichiatra
Mato de guera è la storia della follia che aggredisce di tanto in tanto l’ex fante Vardanega Ugo, nativo di Possagno e trapiantato a Treviso. Chiamato a combattere sul fronte del Grappa, Ugo è sopravissuto al fuoco nemico, all’insipienza dei comandanti, alla dispersione che ne ha dilaniato la famiglia. Nel ricordo si mescolano la vita di trincea, quando la vita di un uomo valeva meno di nulla, e la devastazione della sua Possagno.
La distruzione del tempio fisico di Possagno è la distruzione del tempio dell’aniea perché la guerra è anche esproprlo della identità storica di un popolo, esattamente come la profanazione delle reliquie del santo patrono o come Il viaggio senza ritorno in Sicilia (una meta sconosciuta e ostile) dei Vardanega e di tanti altri profughi possagnoti. Perfino come le campane precipitate dai campanili, ufficialmente per ricavarne bronzo da cannoni, in realtà per umiliare un popolo intero nella sua anima, nella sua radicata religiosità. La guerra è soprattutto diaspora di popolo e perdita di identità per gli individui.
È anche rinuncia alla tolleranza e al dialogo perché affida la soluzione dei problemi alla violenza. Che non ha mai risolto nulla, anzi: in questa Treviso degli anni Trenta, Ugo Vardanega assiste alla più sconvolgente delle speculazioni. Si costruiscono gli ossari, non tanto per dare sistemazione degna ai resti del caduti, ma per giustificare la bolsa retorica della nuova guerra che si sta preparando. Pirandelilanamente, la pazzia è l’unico rifugio poss1blle per il nostro antleroe. E se si trova in un manicomio, è perché la sua follia è scomoda, antitetica al sistema.
Gian Domenico Mazzocato
Un spettacolo esemplare per l’equilibrio delle sue componenti: l’impegno contenutistico e in lato senso “politico”, la teatralità che con un solo attore “riempie” perfettamente il palcoscenico, la qualità e l’efficacia della ricerca linguistica, la capacità di comunicazione che tiene avvinto il pubblico dal principio alla fine, in un vero e proprio “crescendo”. E ancora –sotto un altro profilo- la qualità della materia fornita dalla pagina di Gian Domenico Mazzocato, il cospicuo lavoro registico e prima ancora drammaturgico di Roberto Cuppone, e infine la presenza scenica di Luigi Mardegan che qui rivela bravura e impegno portati ad una maturità piena e convincente.
“Mato de guera” è, a mio avviso, un’indicazione. Non tanto di quello che deve essere il teatro ma di quello che il teatro “può” essere, quando si verificano determinate condizioni ottimali.
In questo evento teatrale concorrono volontà politica, capacità letteraria, bravura artistica e teatrale, su un tema legato alla storia della società cui è diretto, in una lingua (io non parlo mai di dialetti) che è parte essenziale di quel patrimonio culturale.
Se è vero che per essere universali occorre avere radici profonde in qualcosa di ben concreto e tangibile, si è universali quando si è molto “qualcosa”. Altrimenti si è astratti e astrali. E il “Mato de guera” è universalmente vero perché è profondamente radicato in questo fazzoletto di terra
Luigi Lunari