LAGO MAGGIORE
CUORE D’ACQUA E ABBAGLIO CARTOGRAFICO
BAVENO LA BELLA E GRANITO ROSA
QUARANTA IMMISSARI E UNDICI ISOLE
Per capire un lago bisogna camminarci accanto di notte. Sfiorarlo con amore, con trepidazione.
Sentirlo un mondo a sé.
Ricostruire la geografia delle luci. Vicine o più lontane.
Le macchie bianche e diurne dei paesi, la notte migrano in una dimensione altra. Si fanno stelle incastonate sulla linea dell’orizzonte. La risacca è colonna sonora.
Lo scorso anno, in questo periodo, per Egle e me è stato lago d’Orta con la gemma dell’isola di san Giulio cara a Gianni Rodari, a Umberto Eco e a Giuseppe Tornatore (che l’ha ribattezzata, con molta poesia, Borgo Ventoso).
Già lo scorso anno era nata l’idea di visitare il vicino fratello maggiore del lago d’Orta.
Ed eccolo qui il lago Maggiore.
Una ipsilon disegnata male, un pulsante e ventoso cuore d’acqua tra Alpi e pianura padana, una vena tra Svizzera e Italia, un fiordo migrato a sud, uno sberleffo ereditato dalle glaciazioni.
Il confine, anche, tra Lombardia e Piemonte. Si chiama così perché un tempo era unito al lago di Mergozzo e ciò faceva di questo specchio d’acqua il lago più esteso della fascia prealpina. Notizia di Wikipedia, ma a me i conti non tornano ugualmente. Il lago di Garda è comunque più esteso di un centinaio di chilometri quadrati.
Il fatto è che i Romani, conquistato questo territorio (qui era terra celtica, la Gallia cisalpina) lo chiamarono Lacus Maximus. Un abbaglio. Poi l’evoluzione dei rilevamenti e delle tecniche cartografiche ha fatto giustizia. 370 chilometri quadrati (Garda) contro 212 (Maggiore), mica noccioline.
Sbarchiamo a Baveno, 5mila abitanti, 200 metri sul livello del mare. I 65 chilometri di lunghezza del lago sono tutti davanti a noi.
La base è il camping Parisi, un due stelle piccolino (in riva a un lago non è che gli spazi siano enormi e qui siamo proprio sull’acqua) e raccolto. La cortesia dei gestori è assoluta, si sta a proprio agio. Proprio bene insomma. Scelto in rete, la miglior scelta possibile.
Siamo anche a due passi dall’imbarcadero dal quale si possono raggiungere tutte le località italiane e svizzere. E le isole.
Una quarantina di immissari. Non solo Ticino, ma anche Giona, Maggia, Verzasca, Toce, Tresa, Boesio, Froda di Porto Valtravaglia, Bardello, Cannobino, Erno, Acqua Nera (emissario del lago di Monate), Monvallina eccetera eccetera. A Baveno si immette il Selvaspessa, in località Oltrefiume. In questo piccolo borgo c’è una chiesetta dedicata a san Pietro. Contiene un pregevole crocifisso in pietra. E all’esterno svetta un campanile a vela sopra un tetto a tavole di pietra.
Lago Maggiore significa anche, tra grandi e piccole, 11 isole (otto piemontesi, una lombarda, due svizzere): isola Bella, isola Madre (la più estesa del bacino lacustre), isola dei Pescatori (o isola Superiore o isola Superiore dei Pescatori), isolino di San Giovanni (vi risiedette, nel seicentesco palazzo Borromeo, Arturo Toscanini), isolotto (o scoglio) della Malghera (è il gruppo delle cosiddette isole Borromee); le due isole di Brissago (San Pancrazio o isola Grande, Sant’Apollinare o Isolino), infine i tre scogli detti Castelli di Cannero e l’isolino Partegora.
Baveno trae probabilmente il proprio nome da un gentilizio romano. Più che possibile visto che questo fu insediamento romano importante. Dal muro di una casa in centro ci guarda un’antica edicola funeraria.
Luogo caro a musicisti come Umberto Giordano (l’autore dell’opera Andrea Chénier, 1896, su libretto di Luigi Illica) e Gianandrea Gavazzeni. Due lapidi li ricordano sulla facciata del palazzo comunale. Altri ospiti abituali e famosi furono il poeta Marino Moretti e, più indietro nel tempo, Schubert e Alexandre Dumas.
LA CHIESA DI GERVASIO E PROTASIO
I PICASASS E LE DONNE CON LA GAULA
BAVENITE, SELVASPESSA E LE GARDENIE
Arriviamo nella serata di venerdì della settimana santa (30 marzo 2018). Il viaggio è avvenuto sotto un cielo plumbeo, gravido di pioggia. La serata infatti ci riserva qualche bel rovescio. Non ci scoraggiamo. Piazziamo il camper e andiamo a fare due passi.
Il giorno successivo, sabato di Passione, non è migliore. Alziamo gli occhi. I monti attorno sono imbiancati dalla neve. Ci dedichiamo alla scoperta della bella Baveno.
Il nucleo più interessante è dato dagli edifici sacri (chiesa presbiteriale dedicata ai santi Gervasio e Protasio, battistero, porticato della via crucis) che si incontrano alla fine di una breve erta.
La chiesa dei santi Gervasio e Protasio presenta una facciata in pietra di stile romanico.
Le pietre, tutte di forme diverse, disegnano un affascinante reticolo. Costruita attorno all’XI secolo è stata consacrata dal vescovo Amidano il 25 luglio 1345.
In origine la chiesa era a una sola navata, ma le successive ristrutturazioni hanno portato alla realizzazione dei contrafforti laterali, delle cappelle, della copertura a volta, dell’abside e della sagrestia.
All’interno è presente un pregevole affresco di san Cristoforo.
Un altare è dedicato a san Francesco di Sales. Il parroco, don Armando, è intento alla preparazione dei riti pasquali che cominceranno alla sera nel segno del fuoco.
Gli dico che io abito molto vicino al monastero della Visitazione di Treviso dove si conserva il cuore del santo, ancora stillante sangue. Altro che san Gennaro.
E non è l’unica analogia. Sperduta nei campi dietro casa mia sorge la minuscola chiesetta che è considerata (anno Mille, se non prima) l’edificio sacro più vecchio dell’intero territorio. Ed è dedicata proprio a Gervasio e Protasio. Di che inventarsi un gemellaggio.
Le immagini dei santi patroni ci vengono proposte da una vetrata dietro l’altare maggiore e da un affresco sulla facciata di una casa vicina.
Visitiamo l’adiacente battistero. L’impianto esterno è tipicamente rinascimentale, ma l’origine è molto più antica, forse V secolo. Esternamente appare di pianta quadrata. Ma l’interno rivela l’antica pianta ottagonale.
Il porticato della via crucis si trova a sinistra di chi guarda la facciata della chiesa. Fu costruito nel 1839 dopo lo spostamento del cimitero. Le stazioni sono scandite da grandi affreschi, purtroppo in pessimo stato di conservazione.
In piazzetta Matteotti troviamo, ahimè ostruito da un parcheggio tutto pieno, il murale che ricorda l’attività storica delle genti di queste parti, l’estrazione e la lavorazione della pietra.
Fu realizzato nel 1979 da Gilberto Carpo con l’aiuto degli allievi di un centro artistico locale (Circolo Bavenese). Sono i picasass, gli scalpellini di Baveno la cui abilità è nota da più secoli in tutto il mondo.
È rappresentato, questo mestiere antico e durissimo (ce lo ricorda anche un monumento sul lungolago), sia nella dimensione artigianale e creativa sia nella sua evoluzione.
L’ispirazione fu offerta agli artisti bavenesi da una foto che ritrae la lavorazione di una delle colonne per il Duomo di Milano. La colonna è il centro fisico e morale dell’affresco.
Senza dimenticare l’apporto del lavoro delle donne, ritratte con la gaula, una gerla che serviva a trasportare la polvere pirica.
Particolarmente importante fu l’escavazione del granito rosa. Nell’Ottocento, grazie all’imprenditore svizzero Nicola Della Casa, assunse dimensione industriale. Furono costruiti mulini ad acqua che azionavano potenti seghe. I nomi delle vie ce lo ricordano ad ogni angolo: via Cave, via degli Scalpellini, via del Granito Rosa… E il nome di bavenite è stato dato a un minerale formato di metasilicato idrato di calcio e alluminio, ricco di berillio, usato, tra l’altro, per la riproduzione di circuiti stampati microscopici. I primi ritrovamenti risalgono al 1901.
C’è anche uno spazio museale dedicato, il Granum, nello storico Palazzo Pretorio in piazza Chiesa, 8. È definito “un punto informativo multimediale e multisensoriale dedicato al granito rosa ed alla sua importanza storica ed economica”. L’ingresso è libero
Ci spingiamo, oltre il torrente Selvaspessa, nella località di Oltrefiume. Ci accompagnano rigogliosi cespugli di gardenie rosse e bianche.
Alla sera capitiamo in una trattoria dove… si potrebbe fare meglio. Diciamo una cosa che richiama una famosa città del Sud, al centro di un grande golfo e sotto un vulcano. I tavoli sono così pigiati che non si passa che a fatica, i prezzi sono decisamente alti. E la qualità potrebbe migliorare di parecchio.
Poi i riti pasquali con l’accensione del fuoco nel piazzale antistante la chiesa.
Il buio si dirada mano a mano che dal cero pasquale la fiamma viene comunicata alle candele dei fedeli. Uno dei nodi centrali della fede cristiana. E la suggestione è alta.
L’ISOLA MADRE
IL POSTO PIÙ VOLUTTUOSO DEL MONDO,
PAROLA DI GUSTAVE FLAUBERT
Il giorno di Pasqua è dedicato alla crociera tra alcune isole del lago. Il biglietto giornaliero costa 17 euro e offre diverse opzioni e personalizzazioni.
La prima meta è isola Madre, la più grande (220 metri per 330) dell’arcipelago delle Borromee. Un tempo era chiamata isola Maggiore e prima ancora isola di San Vittore. Il culto del patrono poi è, per così dire, migrato sull’isola dei Pescatori e sull’isola Bella.
Di santi di nome Vittore il martirologio ne ricorda tanti. Questo è Vittore il Moro (Mauro, cioè proveniente dalla Mauretania) vissuto nel III secolo, soldato romano di stanza a Milano all’epoca di Massimiano, martire a Lodi Vecchio nel 303 assieme a Nabore e Felice. La chiesa di isola Bella conserva quelle che la tradizione vuole siano le sue spoglie mortali.
Un’isola giardino. “Il luogo più voluttuoso che abbia mai visto al mondo”, ebbe a dire nel 1845 Gustave Flaubert.
Noi siamo scoraggiati dalla lunga fila per acquistare il biglietto che dà accesso al giardino. Anche i prezzi non incoraggiano. È possibile acquistare un biglietto unico per visitare il palazzo e i giardini di isola Madre e palazzo, pinacoteca e giardini di isola Bella, un po’ più di 20 euro. Invece i due biglietti separati si avvicinano ai 30 euro.
Insediamento antichissimo, ma fu nei primi anni del Cinquecento che Lancillotto Borromeo, uno dei cinque figli di Giovanni III e Cleofe Pio di Carpi, introdusse la coltivazione di agrumi e istituì la figura di un hortolano per curarla e custodirla.
Lancillotto costruì anche il primo nucleo della dimora gentilizia che sul finire del secolo fu ampliata da Renato I Borromeo. All’interno del palazzo si trovano pregevoli dipinti e splendide immagini (dalle porcellane alle livree) della civiltà rinascimentale.
Il grande e scenografico giardino all’inglese (8 ettari) è un vero e proprio orto botanico. Notevole la Scala dei Morti, nei pressi di un cimitero dismesso da secoli.
Negli ultimi anni il giardino è stato arricchito dall’introduzione della wisteria, il glicine cioè, dalle note qualità rampicanti e invasive.
L’ISOLA DEI PESCATORI
IL BORGO DEI CENTO RISTORANTINI
Del tutto diversa l’isola dei Pescatori o isola Superiore (100 metri per 350), l’unica delle isole ad essere stabilmente abitata (35 abitanti!).
Un vero e proprio borgo dalle caratteristiche case a più piani. I lunghi balconi vengono utilizzati per essiccare il pesce. Vicoli stretti, la piazzetta davanti alla chiesa di san Vittore, il lungolago, l’affollato mercatino fanno di questa isola un luogo godibile e bello. Con decine e decine di ristorantini per tutti i gusti.
Noi troviamo qualità e cortesia nell’osteria della Piazzetta. Imperdibile la selezione di formaggi teneri locali con guarnizioni di miele di acacia.
Qui è famosa, a ferragosto, la processione su barche della statua del santo protettore dell’arcipelago, san Vittore appunto.
La chiesa di san Vittore era originariamente una cappella, risalente all’XI secolo. All’interno si trovano pregevoli affreschi cinquecenteschi. Sull’altare maggiore spiccano (ma è comune da queste parti) i busti argentei di sant’Ambrogio, san Gaudenzio di Novara, san Francesco di Sales e san Carlo Borromeo, i vescovi che segnano il culto ambrosiano.
ISOLA BELLA
I BORROMEO E LO SCOGLIO CHE DIVENTA NAVE
FOGAZZARO E IL PICCOLO MONDO ANTICO
Infine l’isola Bella (320 metri per 180), nel golfo che reca il nome dei Borromeo, la famiglia che detiene ancora la proprietà dell’isola.
Sulle sponde si affacciano, l’una in faccia all’altra, Stresa e Pallanza.
Anche qui vicoli stretti che si inerpicano, case a più piani e mercatino. Splendido luogo.
L’isola è in gran parte occupata dal giardino all’italiana del palazzo Borromeo che sorge sul lato nord-occidentale e digrada verso il lago con un’ampia scalinata.
Vitaliano I Borromeo (1390 – 1449) concepì l’idea di un grandioso palazzo su questo isolotto ma fu solo a partire dal 1632 che Carlo III Borromeo ne iniziò la costruzione in onore della moglie Isabella D’Adda.
Il progetto fu dell’architetto milanese Giovanni Angelo Crivelli che disegnò anche l’impianto di base dei giardini.
Vitaliano VI Borromeo (1620-1690) completò i lavori affidandoli all’architetto ticinese Carlo Fontana (che lavorò molto a Roma; sua, tra l’altro, la tomba di Cristina di Svezia). Vi lavorò anche Francesco Maria Richini, il progettista del milanese palazzo di Brera.
Infine Carlo IV (1657-1734) completò i giardini e l’isola assunse l’aspetto di una sontuosa nave con il palazzo a fare da prua e le terrazze e i giardini a fungere da poppa. Qui soggiornò Napoleone con la moglie Giuseppina di Beauharnais. Resta la stanza di Napoleone con mobili in stile impero.
Giuseppina, pare, cercò di acquistare dai Borromeo l’isola. I Borromeo rifiutarono e Giuseppina ripiegò su villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como.
La pinacoteca del palazzo ospita tele del Cerano, di Francesco del Cairo, di Giordano, di Salvator Rosa, di Pieter Mulier, il fiammingo noto come il Tempesta (bravo a dipingere navi tra onde agitate, ma nel soprannome entra di sicuro anche la sua vita turbolenta, fu perfino accusato di aver ucciso la moglie), del Nuvolone, di Francesco Zuccarelli. Pregevoli i sei arazzi di fattura fiamminga del XVI secolo.
Qui prese corpo, nel 1935, il cosiddetto fronte di Stresa, l’accordo in funzione anti-tedesca, siglato tra il ministro degli esteri francese Pierre Laval, il primo ministro britannico Ramsay MacDonald ed il capo del governo italiano Benito Mussolini.
Ma soprattutto isola Bella è nell’immaginario letterario. È qui che si scrive la pagina finale di Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro. Franco Maironi parte per raggiungere il reggimento e saluta la sua Luisa in attesa di una nuova vita. E Mario Soldati, nel 1941, proprio sull’isola girò gli esterni del film tratto dal romanzo che ebbe come protagonisti i bellissimi Alida Valli e Massimo Serato.
Giornata fantastica, nel sole.
Il giorno di Pasquetta a Gambolò, vicino a Vigevano, per una grigliata con gli amici di mia figlia Miriam e di mio genero Maurizio.
Ma questa è, come in ogni finale che si rispetti, altra storia.
Le orecchiette alle cime di rapa di Miriam restano peraltro memorabili.