PROVENZA
POESIA E STORIA
LA FORZA E LA GENTILEZZA
LA TERRA
DELLE CASE DIPINTE
E DELLA LAVANDA
Il camper si ferma proprio in riva al largo e placido Rodano. Davanti a noi le quattro arcate del pont St-Bénézet varcano solo metà del fiume e raccontano la loro storia. Sulla riva opposta le mura di Avignone e, padrone assoluto della scena, il grande Palazzo dei Papi. È una luminosa giornata di sole, il Rodano ha piccole onde grigie e azzurre.
*****
La ricetta giusta per dimenticare le fatiche e le ineludibili forche caudine del viaggio. L’autostrada nel suo tratto ligure è un budello interminabile, curve e gallerie per una infinità di chilometri. Se succede un incidente si crea in pochi minuti una coda lunghissima. È quello che è capitato a noi anche se il camper ci consente di fermarci ad una stazione di servizio e attendere che il marasma si calmi. Poi l’autostrada francese. Pazienza l’esosità, ma non sai mai se sei in autostrada o su un tratto non a pagamento. Ogni tanto una stazione di pedaggio (il famoso peage, che letto alle veneta può anche alludere al verbo “pelare”) alla quale non capisci se stai pagando un tratto già percorso o il tratto che ti accingi ad affrontare. Poi modi di pagamento diversi a seconda della zona. Beato il sistema italiano.
Avignone e il ponte romano (pont St-Bénézet)
In autostrada comunque ci portiamo un po’ avanti verso la nostra meta e poi usciamo in località Brignoles, scelta a caso. Qui in Francia i campeggi non sono un problema. Contiamo di fermarci al primo che troviamo lungo la strada, prima dell’ultimo balzo, Avignone e il suo territorio.
Troviamo campeggio a St-Maximin. È il Sarl Bouchez Plein Air Camping Provençal (Route de Mazagues, prezzi alla francese, cioè ridottissimi per chi viaggia nomadico, aree di sosta sui 10 euro, campeggio tra i 18 e i 20). Molto ben servito, arroccato sui fianchi di una collinetta. Nella serata conosciamo, in villeggiatura in un bungalow davanti a noi, una simpatica coppia, marito e moglie, di Lione.
Sabato, 30 agosto
Percorriamo il centinaio di chilometri che ci separa da Avignone.
Attraversare la Provenza vuol dire immergersi in paesaggi solari. A Manèrbes, un paesino di mille anime arroccato su uno sperone roccioso del Luberon, tra Oppède e Lacoste, un cartello illustra l’eterno meteo della zona. Qui c’è sempre sole, le nuvole sono rarissime, la pioggia ancora più rara.
Non sarà un caso che a Manèrbes abbia deciso di venire ad abitare, dopo una caotica esistenza da copywriter, lo scrittore inglese Peter Mayle. Per chi ama cinema e buona letteratura è l’autore di Un’ottima annata da cui nel 2006 Ridley Scott ha tratto l’omonimo film interpretato da Russell Crowe, Abbie Cornish, Albert Finney e Marion Cotillard. Mayle ha raccontato i primi mesi della sua nuova vita provenzale nel libro Un anno in Provenza (EDT Edizioni). Pagine struggenti e bellissime (oltre che piene di ironia) che consigliamo come viatico a chiunque voglia intraprendere un viaggio da queste parti.
Provenza vuol dire percepire la poesia dei grandi poeti popolari che hanno fatto rivivere le cadenze e le sonorità di trovatori e trovieri occitani. I cantori di oggi sono Frédéric Mistral (1830-1914, Nobel nel 1904) che ha celebrato la sua terra nel grande poema Mirèio e Charloun Rieu (1846-1924) un contadino che fu protagonista della rinascita della lingua e della cultura provenzale grazie alla sua raccolta di poesie Li Cant dóu Terraire (in francese Les Chants du terroir).
La poesia qui è ovunque, perfino nelle insegne dei negozi. A Pernes-les-Fontaines un orologiaio dice a caratteri cubitali di essere il “meccanico del tempo”.
Provenza significa i profumi della lavanda e delle sue erbe officinali, l’odore del sapone di Marsiglia (olio di oliva per il 70 per cento, il resto è soda vegetale) che in realtà… ha la sua patria a Salon, la città di Nostradamus alle bocche del Rodano. Qui, al numero 71 di rue Félix Pyat, si può visitare un genuino laboratorio del far sapone, il Rampal-Latour.
E Provenza significa la disponibilità e la simpatia della sua gente, di taglio decisamente meridionale. A Vaison-la-Romaine un bancarellaio fa autentico cabaret davanti al suo stand che, prosasticamente, arrostisce polli allo spiedo. A Isle-sur-la-Sorgue una ricamatrice in costume tradizionale approfitta del fatto che tu la fotografi per reclamizzare i suoi prodotti.
La Provenza resta nel cuore anche per i suoi murales particolari. Veri e propri affreschi che animano i muri delle case. Solo nella capitale della Lituania, Vilnius, ho visto qualcosa del genere.
Qui siamo a Orange, fontane autentiche, ma finestre e pittore dipinti
E poi tanta accoglienza coniugata a organizzazione. Non c’è borgo, per quanto piccolo, che non abbia il suo ufficio del turismo, generoso di informazioni e suggerimenti.
Naturalmente oggi tra programmazione desunta da internet e navigatore, trovare le mete precise è una sciocchezza. Approdiamo al camping Bagatelle (Allèe Antoine Pinay, 25). Siamo sulla grande isola di La Barthelasse abbracciata dai due rami del Rodano. Il fiume in occitano (cioè in provenzale antico, la lingua d’oc) suona Ròse e sa di antico, di vecchie chanson de geste.
Ha un velo di dolce mistero sulla sua superficie. E d’altra parte misteriosa è anche la sua etimologia, forse parola di origine celtica, forse greca: Plinio il Vecchio (Naturalis historia, III, 5, 2) riferisce che una colonia di commercianti dell’isola di Rodi si era stabilita sul delta del fiume tra VII e VI secolo a.C.
Colpisce il verde curatissimo delle rive, colpisce il perfetto stato di conservazione delle mura medievali. Sembra echeggiare il ritmo incalzante dell’antica canzone popolare Sur le pont d’Avignon, la colonna sonora delle danze in cerchio della gente di qui. Esiste una versione della canzone che non dice “sopra” il ponte ma “sotto” il ponte. Nella memoria, forse, dei balli scomposti e magari un po’ osceni eseguiti dai vecchi malfattori che usavano trovarsi a gozzovigliare in una malfamata taverna sita proprio nella nostra Île de la Barthelasse.
Attraversiamo il Rodano sul pont Edouard Daladier, entriamo per la porta de l’Oulle, percorriamo la piazzetta Crillon, ci troviamo nella piazza de l’Horloge con i suoi ristorantini. È tempo di vendange, di vendemmia. E qui dei contadini in costume, attorno ad una vecchia automobile, distribuiscono grappoli d’uva.
Ed eccolo, massiccio, impressionante.
Il Palais des Papes (euro 13, 50, comprensivo anche dell’ingresso al pont St-Bénézet; indispensabile l’audioguida in italiano a 2 euro che è interattiva: oltre a illustrare le varie tappe del tour, consente approfondimenti, fa vedere sul piccolo schermo immagini non fruibili direttamente, connette automaticamente ai vari filmati sparsi sui video di tutto il palazzo. Una gran cosa, insomma) fu il centro della chiesa cattolica durante la cosiddetta cattività avignonese (1309-1377). I papi che vi si succedettero (Clemente V, Giovanni XXII, Benedetto XII, Clemente VI, Innocenzo VI, Urbano V e Gregorio XI) ne fecero una città cosmopolita che attirò grandissimi artisti come Simone Martini e Francesco Petrarca. Una vera e propria capitale europea.
La Cour d’Honneur, il cortile principale del Palais des Papes; le Ban des Vendanges; la grande cucina/barbecue col tetto a camino
Percorrendo con l’audioguida i saloni, i chiostri, le scale si apprendono la storia del palazzo, le sue trasformazioni, le diverse destinazioni d’uso dei tanti locali.
All’uscita, sul libro degli ospiti e visitatori, scrivo “Magnifico, solo qui si capisce cosa vuol dire STARE DA PAPA”. Tutto qui suggerisce l’idea del potere e anche del lusso più sfrenato. Forse il magistero e la cura d’anime erano optional molto trascurati.
L’emblema mi pare una delle stanze adibite a cucina che era in realtà un unico, immenso focolare per cucinare sulle braci, in più griglie sovrapposte, grandi quantità di cibo, tutto insieme. Infatti il soffitto è di fatto un camino col suo gran foro alla sommità.
Che spettacolo deve essere stata la cucina/barbecue dei papi in piena attività. Una scena da inferno, con i cuochi in vesti di diavoli ad arpionare, rigirare, saggiare il punto di cottura, ungere e ingrassare. Ronciglioni e uncini, leccarde fonde come vasche, forchettoni e ramponi, spiedi lunghi più di un bue intero. Una cosa da malebolge dantesche. Alighieri, il grande moralizzatore che non ha salvato uno solo dei papi a lui contemporanei dalle fiamme degli inferi, avrebbe avuto di che ispirarsi.
Le liste degli animali sacrificati ai banchetti lasciano stupefatti. Poi, suggerisce l’audioguida, gli avanzi venivano distribuiti ai poveri. Accidenti, alla faccia della carità cristiana!
Sulle murate e tra le merlature si può camminare ammirando i panorami della piana provenzale.
Usciamo e, per raggiungere il pont St-Bénézet, ci attardiamo davanti alle vetrine delle bottegucce di artigianato locale.
Il tutto è soffuso dall’afrore dolce e pungente insieme del sapone di Marsiglia (disponibile anche in enormi pezzi) e dal profumo di lavanda che qui viene disseccata, macerata, distillata, offerta in mille confezioni diverse. Belle le grandi borse in stoffa fatte a mano e fascino nel negozio di santons di cui tra qualche giorno vedremo il museo in una località dei dintorni (Beaux de Provence, giovedì 4 settembre, vedi oltre).
Visitiamo il pont St-Bénézet. Il Rodano veniva qui attraversato da un ponte già dopo il mille. Le quattro arcate, delle 22 originarie, che si vedono ora sono quanto resta del manufatto del Duecento. Nel Seicento le piene del Rodano ne abbatterono una parte. Oggi rimangono, oltre alla quattro arcate, la tour de Châtelet e, su due piani, la cappella dedicata a san Nicola. Si arriva fino alla punta estrema del ponte e si ha la sensazione di essere parte del fiume, sul pelo della corrente. All’ingresso, una piccola ma simpatica sezione museale è dedicata alla canzone Sur le pont d’Avignon.
Tra le merlature del Palais des Papes e in punta del pont St-Bénézet
Domenica 31 agosto
Visita al mercatino domenicale delle pulci in place des Carmes. Non c’è molto: chincaglieria incomperabile, vecchi telecomandi (a che possono mai servire?) e vecchi cellulari, utensileria da officina e un mare di abiti usati. Però…
Però ci sono due bancarelle fornitissime di libri a pochi euro. Un gusto spulciare (e comperare). C’è tutta la grande narrativa francese (i miei amori sono da sempre Zola, Stendhal, Balzac e insomma tutto il grande Ottocento francese): non riuscirò mai a leggere in lingua originale ma magari a spizzichi per tenere in esercizio il mio francese che, come mi accorgo in molte occasioni, tiene davvero benissimo. Chiacchiero con uno dei bancarellai e gli dico tutto il mio amore e la mia ammirazione per il romanzo francese. Lui apprezza, quasi si commuove che un italiano riconosca la superiorità dei narratori francesi. E mi fa lo sconto.
Bancarelle di libri in place des Carmes; la valle del Rodano dal Rocher des Doms; i giardini retrostanti la cattedrale, il mont-Ventoux in una ceramica che ne indica la direzione sul belvedere del Rocher des Doms
A zonzo per la città: rue Carnot, rue della Carrettiere, rue de la Republique, la collegiata di St-Pierre (oggi è aperta per le funzioni della domenica) col suo portale istoriato, il clocher des Augustins, la cappella dei Pènitents noirs. Notre-Dame-des-Doms, la cattedrale di fondazione romanica, è chiusa e dobbiamo accontentarci di guardare da fuori. In compenso passeggiamo per i giardini retrostanti che aprono visioni sconfinate sulla valle del Rodano e sui monti all’orizzonte. Svetta la cima del mont-Ventoux, il monte Ventoso di Francesco Petrarca che vi effettuò una mitica ascensione assieme al fratello Gerardo il 26 aprile 1336.
Racconto a mia moglie che il mont-Ventoux è anche drammaticamente presente alla memoria di tutti coloro che amano il ciclismo perché sui tornanti che conducono alla cima il 13 luglio 1967, l’indimenticabile Thomas “Tom” Simpson lasciò la sua giovane vita, ucciso dalle amfetamine che gli impedirono di avvertire il muro invalicabile della fatica.
È il mio compleanno e lo festeggiamo in uno dei ristorantini di piazza de l’Horloge, Le Venaissin che trae il suo nome dal Contado Venassino (Comtat Venaissin in francese), come anticamente venivano designati i dintorni di Avignone.
Servono un magnifico filetto e anche un piatto tradizionale del nord, le moules-frites. In realtà un piatto semplice (cozze bollite e patatine fritte) ma gustosissimo. Qui lo recano sulla tavola in una pentola particolare, nera. È la cocotte a moules, la si apre in due e nel coperchio si buttano i gusci. Non avremo pace fino a quando non troveremo un posto dove la vendono. Il tutto accompagnato da una straordinaria birra belga di abbazia, la Affligem. Non mi risulta che la commercializzino in Italia e quindi nei prossimi giorni ne faremo scorta.
Beh, sì. Non sarà correttissimo ma a noi va bene. Birra e non vino.
Chiudiamo la giornata con una passeggiata sulle rive del Rodano, in pratica tutta la lunga Île de la Barthelasse. È un andare dolce e appagante. Un autore amatissimo da queste parti come Ungaretti (a Isle-sur-la-Sorgue abbiamo visto perfino una boutique che sull’insegna recava la dicitura Allegria di Naufragi) qui certo si sarà sentito “una docile fibra dell’universo”.
Lunedì 1 settembre
A proposito di vini.
l giorno dopo percorriamo i 30 chilometri che conducono a Châteauneuf-du-pape dove la coltivazione delle vigne fu introdotta proprio dai papi per tenere ben fornite le loro cantine. È una delle mecche del vino francese, zona rinomata soprattutto grazie ai suoi rossi per i quali vengono utilizzati fino a 13 tipi di uve diverse, bianche e nere. Ma a cercare con pazienza si trovano anche ottimi bianchi e rosati, e a prezzi decisamente accessibili.
Arrivare a Châteauneuf significa misurarsi col mistral, il vento che qui soffia in continuazione. È il re dei venti, non conosce ostacoli, spazza ogni cosa. Folate lunghe e improvvise. Violente, il volante bisogna tenerlo con due mani. Il mistral è la colonna sonora dei silenzi notturni, il sollievo delle ore più calde della giornata.
È la manna per questi vigneti bassi, così diversi dai nostri, simili a cespugli. Il mistral infatti tiene il cielo sgombro da nubi e consente una insolazione continua e costante. Noi facciamo base al domaine (così si chiamano i diversi appezzamenti vignicoli) Brotte che si dice essere la più antica tra le cantine del paese e che ospita anche un museo del vino. La visita è gratuita e accompagnata da audioguida (ahimè non in italiano). Ci si abitua a parole come cru, terroir, classement. Si conoscono le vicende geologiche del Rodano che con la sua corrente ha creato una vallata dal terreno miracolosamente adatto alla coltivazione della vigna. Alla fine ci si trova al centro della cantina per degustare e fare acquisti. Tra i neri troviamo ottimi il Chateau de Bord/Laudun (vendemmia 2011) e il Viognier/Père Anselme (vendemmia 2013). Ma non tralasciamo qualche buon bianco e un paio di bottiglie di rosato.
Châteauneuf –duPape, Musée des Outils de vignerons: una bottiglia davvero da …cassaforte; l’arco di trionfo di Orange; il vestibolo del teatro romano di Orange
Pomeriggio ad Orange, famosa per il suo grandioso teatro romano meravigliosamente conservato (da qualche parte leggiamo -ma si sa che certi primati sono di chi se li prende- che è il meglio conservato dell’intera romanità). Per i camper c’è un’area di sosta gratuita (ma è solo un parcheggio, nessun servizio) all’ombra del grandioso arco di trionfo che si trova alle porte di questa graziosa cittadina. È stato costruito verso il 27 d.C. in onore dei veterani della II legione. Ha conosciuto tempi migliori ma i bassorilievi con scene di battaglia sono abbastanza ben conservati. Il teatro impressiona per le dimensioni del suo apparato scenico (103 metri di lunghezza e ben 36 di altezza). Luigi XIV lo definì il più bel muro del regno e rimase in soggezione davanti a così massiccia costruzione.
Martedì 2 settembre
La valle dell’Ouvéze è sempre più stretta. Il mistral reca fendenti micidiali. Passiamo davanti a infinite cantine (i domaines, come si diceva) che offrono assaggi e vino a buon prezzo. Eccoci a Vaison-la-Romaine. Non a caso abbiamo fatto in modo di capitarci di martedì. Questo borgo di 6000 anime in questa giornata esplode con un mercatino che invade tutti gli spazi. All’arrivo troviamo qualche difficoltà perché il camping Au theatre Romain è pieno. Di istinto, invece di cercare un campeggio vicino (ce ne sono altri, infatti), seguiamo le indicazioni per l’area di sosta dei camper (ottimi servizi, 10 euro a notte, verso sera passa un addetto a riscuotere) e siamo proprio fortunati. Da quell’area un sentiero di neanche 200 metri ci porta nel cuore del borgo.
Cercate un impagliatore di sedie? Volete sentire i profumi dei mille formaggi francesi e assaggiare tutti gli insaccati (i moltissimi e diversi saucisson) di questo mondo? Volete la più variopinta delle ceramiche da cottura o una bella borsa in paglia naturalmente fatta a mano? Volete riparare il vostro orologio, da polso o a pendolo? Qui trovate montagne di vestiti nuovi e usati, coltelli di ogni foggia, vecchi giocattoli in legno, oggetti da appendere per abbellire in modo particolare una stanza, bigiotteria e oggettistica di ogni tipo, meridiane da porre sul muro di casa. E poi i cibi, non solo formaggi e salami: carne e pesce, miele, infusi e tisane di ogni tipo, le incredibili varietà di olio d’oliva (dalle preziose e microscopiche bottiglie alle taniche. La quantità qui è tutto fuori che un problema), spezie e droghe (quelle buone si intende) di ogni colore e consistenza, le marmellate e il nougat, cioè il torrone locale venduto in pezzature industriali (ma, come tutto, un assaggio costa zero), la paella fatta al momento. Poi, ovvio, frutta e verdura. E naturalmente montagne del prodotto locale, l’aglio, e mari di lavanda. Fiori e mobili. Insomma tutto, ma proprio tutto.
Non manca lo spettacolo con molti artisti di strada e una bravissima orchestrina jazz.
Al mercato di Vaison-la-Romaine l’arrostitore di polli fa cabaret davanti al suo stand e l’orchestrina dagli improbabili strumenti fa ottimo jazz; Il Cristo baffuto e cornuto che si vede nel chiostro di Notre-Dame-de-Nazareth
Dedichiamo il pomeriggio alla estesa e molto ben conservata città romana (biglietto complessivo 8 euro con audioguida) col teatro, numerose ville, il museo archeologico e il ponte romano. Alcune cose sono davvero preziose: dell’antica Vasio Vacontium si possono ammirare splendidi pavimenti musivi, colonnati e le statue (provengono dal teatro) di Claudio, di Domiziano, di Adriano e della sua bellissima moglie Sabina. Imponenti gli scavi di la Villasse: ville, impianti termali, porticati. Tracce della città romana si trovano anche nella cattedrale romanica risalente al XII secolo, Notre-Dame-de-Nazareth. Nel chiostro, molto raccolto, sull’architrave di una porta è inciso il Cristo più strano mai visto in giro: ha i baffi e le corna.
Attraversiamo il ponte romano e saliamo, attraverso la Porte Vieille, nella città medievale. Fiancheggiamo la torre dell’orologio con il suo campanile in ferro battuto che risale al 1786 e raggiungiamo la quattrocentesca (ma più volte rimaneggiata) cattedrale. Il sagrato è una amplissima terrazza con panorama sulla valle dell’Ouvèze.
Mercoledì 3 settembre
Dopo la notte nell’area di sosta, ci spostiamo a Pernes-les-Fontaines, sulle sponde della Mesques, un tempo forte della sua cinta muraria che ora è documentata solo dai tre maestosi varchi d’accesso, la porte de Villeneuve, la porte de St-Gilles e (è quella che imbocchiamo noi) la porte Notre-Dame. Questa cittadina di diecimila abitanti ha comodi parcheggi che la circondano ed è famosa (lo si intuisce già dal nome) per le sue 40 fontane. Risalgono per lo più al Seicento e al Settecento e molte hanno un lavatoio aggiunto. La bellezza ma anche la praticità. Visitiamo la parrocchiale di Notre-Dame-de-Nazareth con le sue due meridiane (una per le ore del mattino, una per quelle del pomeriggio).
Saliamo per lo stretto sentiero che conduce alla tour de l’Horloge che ci dà un panorama di tutta la vallata. E poi la tour Ferrande con il suo ciclo di affreschi. C’è un bel museo delle Traditions Provençales.
All’ufficio del turismo ci offrono una mappa con due itinerari segnati. Noi prendiamo quello azzurro che ci consente di vedere tutte, o quasi, le fontane.
Una delle fontane di Pernes-les-Fontaines; il primo tratto della Sorgue, subito dopo le sorgenti
Pomeriggio dedicato ad una delle nostre mete obbligate, Fontaine-de-Vaucluse, il borgo in cui Francesco Petrarca soggiornò spesso tra il 1337 e il 1353. Una imponente colonna eretta nel 1804, quinto centenario della nascita del poeta, ce lo ricorda proprio al centro del villaggio. Nascono qui vicino, in questo luogo scavato e modellato dal fiume, le chiare, fresche e dolci acque della Sorgue. Affiorano da una grotta ai piedi di una incombente falesia calcarea alta quasi 250 metri. Nella stagione in cui la visitiamo noi, si scorge appena una pozza ma, da novembre a primavera, l’acqua sgorga impetuosa. Poco male, perché alcune sorgenti più superficiali alimentano ugualmente le acque verdecorallo del fiume il quale, a pochi metri dalla sua scaturigine, è già ampio e robusto.
Nel passato alimentava perfino il mulino di una cartiera. La cartiera esiste ancora oggi come museo (e la carta viene lavorata sia pure in piccolo) e libreria (frequentatissima) dentro al villaggio degli artisti che ospita alcune botteghe artigiane. C’è anche un maestro vetraio.
Non solo Petrarca amava questo luogo. Qui hanno fatto sentire la loro voce Chateaubriand, Mistral e René Char, il poeta nato proprio in paese il 14 giugno 1907.
Fontaine-de-Vaucluse è anche frequentata dai geologi perché quella della Sorgue è la risorgiva più profonda dell’intero pianeta. Il tratto più basso è stato raggiunto solo nel 1985 da un robot teleguidato. Fatto zero il punto di fuoriuscita delle acque (il “sorgometro” è a 84, 5 metri sul livello del mare), la risorgiva si trova ben 308 metri più sotto.
Il cammino per raggiungere la sorgente è disseminato di bancarelle e molto frequentato. Una passeggiata suggestiva.
Visitiamo la piccola parrocchiale romanica di St-Veran.
Fontaine-de-Vaucluse è servita da un campeggio e da un’area di sosta. L’area di sosta consente di fermarsi anche per poche ore, ma quando si digita la richiesta sulla colonnina all’ingresso si scopre che il minimo di permanenza sono le 24 ore, una decina di euro. Un imbroglietto, a pro di chi? Pazienza. Ma la pratica per far alzare la fatidica sbarra di ingresso è davvero macchinosa. Non si può pagare in contanti, ma solo con carta di credito che peraltro deve essere validata dal suo numero di codice, il pin. Sfido chiunque a dire che si ricorda il pin della sua carta di credito (la si preferisce al bancomat proprio per la sua “autonomia”). Io per fortuna me lo sono appuntato da qualche parte e riesco a scovarlo. Ma prima di veder alzare la sbarra devo rispondere a tante domande e dare perfino il mio numero di telefono. Una voce mi rassicura che è tutto pour ma sûreté. Sarà, ma io mi sento tanto più sicuro quanto meno gli altri sanno i dati miei. Riesco a entrare ma nel corso della giornata vedo tanti possibili fruitori dell’area andarsene scoraggiati.
Devo anche dire che le suggestioni petrarchesche del chemin de la fontaine fanno passare tutto in seconda linea.
Nella notte lunare, la fronte delle falesie che ci sovrastano emana la luce di un faro. È la stessa luce che illuminava le veglie di Petrarca e Chateaubriand. Basta e avanza.
Giovedì 4 settembre
Visitiamo Isle-sur-la-Sorgue, famosa per essere sede di uno dei più importanti mercati antiquari di Francia. In occasione di Pasqua e Ferragosto qui si danno convegno fino a mille espositori. Peraltro sono residenti almeno 50 antiquari che aprono le loro botteghe ogni venerdì, sabato e domenica. La Sorgue si divide in tanti canali e fa girare le ruote di una cinquantina di mulini. Oggi è giorno di mercato. Conosciamo una brava artigiana che ci vende una delle sue variopinte sciarpe in lana. Dobbiamo fare un regalo al nostro ritorno e quello è proprio l’oggetto giusto. La città vecchia è raccolta attorno alla place de la Libertè, su cui si affaccia la chiesa di Notre-Dame-des-Anges dalla facciata gotica ma dall’interno di gusto barocco italiano.
Uno dei mulini di Isle-sur-la-Sorgue; una delle pubblicazioni esposte al museo del tire-bouchon
Poi (ormai siamo nella zona del Luberon) la graziosa Mènerbes, perché qui vicino, sulla strada per Cavaillon, il domaine de la Cittadelle ospita l’incredibile e visitatissimo museo del tire-bouchon. Il nostro cavatappi, insomma. Da non immaginarsi neanche. La fogge, le forme, i manici più strani per innestare quello che resta pur sempre un succhiello per sughero. C’è chi se lo è fatto incorporare nel bastone di passeggio, chissà se quelle passeggiate finivano con lo stesso passo con cui erano iniziate. C’è il soldato che lo ha innestato su un bossolo di moschetto in una trincea della prima guerra mondiale. Di lui si sono trovati solo pochi resti, la piastrina e il suo tire-bouchon. C’è chi lo ha trasformato in un oggetto d’arte e chi perfino gli ha dato forme buone per le vetrine di un sexy shop. Il tire-bouchon come oggetto erotico, da perderci la testa. C’è chi lo ha abbinato ad altri oggetti di uso quotidiano, come il pennello da barba e non manca la serie, tutta femminile, di tire-bouchon da infilare, con molta discrezione, nella borsetta. Quasi 1500 pezzi dal XVII secolo ad oggi. Il museo ha un suo sito (http://www.domaine-citadelle.com/le-musee/) e naturalmente si può ampliare la visita girando tra le vigne del domaine, assaggiando e acquistando gli ottimi vini. Ovvio, è in vendita anche una larga tipologia di cavatappi.
Nel pomeriggio visita ad un luogo straordinario, Les Beaux-de-Provence, il villaggio/fortezza scavato nella roccia. I Celti ne avevano fatto una fortezza già nel II secolo a.C. Dal X secolo qui si affermò la signoria feudale De Baux (italianizzata in Del Balzo). Tradizione vuole che i Baux discendessero da uno dei re magi, Baldassarre. Per questo lo stemma reca la stella di Betlemme in campo rosso. Siamo sui contrafforti a sud di Avignone e a nord-est di Arles. I Baussencs, così si chiamano gli abitanti, sono neanche mezzo migliaio, ma il sito è perennemente visitato da una folla di turisti per le suggestioni che offre.
Ci si inerpica nelle viuzze medievali del borgo (sulle quali, al solito, si affacciano bar e botteghe di souvenir) e si raggiunge il castello (ingresso 8 euro) che rappresenta l’idea stessa di inespugnabilità. Impossibile farlo cadere anche col più lungo assedio. Sulla spianata, incessantemente battuta dal mistral e coi sentieri segnati dalle siepi di lavanda, sono riprodotte grandi macchine da guerra, catapulte, balliste e quelle fionde a bilanciere un po’ particolari che qui chiamano trébuchet.
Sotto i nostri occhi sono i documenti di come si svolgeva, in pace e molto più spesso in guerra date le circostanze, la vita del borgo. Le scalinate, la tour Sarrasine, il mastio poderoso, le fortificazioni possenti, il mulino.
Una delle fortificazioni del castello di Les Beaux-de- Provence; santons in costume settecentesco
Su uno degli speroni della spianata si trova il monumento dedicato al poeta popolare Charloun Rieu. Da questa posizione lo sguardo spazia sulle steppe della Crau e sulla Camargue, fino alle bocche del Rodano e al mare. Il panorama toglie il fiato.
Si capisce che qui si respirava l’aria della dominazione e del presidio. La sensazione di essere invulnerabili. È temperie spirituale che in pochi altri luoghi è altrettanto intensa.
Si starebbe una vita a guardare, col mistral che soffia in faccia e porta gli odori della palude e del salmastro.
Nella cappella dedicata a St-Blaise vediamo un bel film montato su riprese aeree della Provenza. Prima di uscire dal castello, tuffo le mani in una siepe di lavanda e ne sfarino qualche spiga nel mio zaino.
Ho un sentimento particolare da qualche giorno. Mi dico: io scatto centinaia di foto, mi porto via la luce e i luoghi. Ma gli odori… gli odori li devo lasciare qui. Beh, adesso il mio zaino recherà il profumo della lavanda di Provenza finché vivrò.
Due curiosità. La bauxite ha questo nome perché venne individuata proprio qui nel 1822 dal geologo Pierre Berthier. La casata che per prima dominò i luoghi ha ispirato poi la canzone di Angelo Branduardi Il signore di Baux, (Cogli la prima mela, l’album del 1979).
Prima di lasciare questo luogo meraviglioso visitiamo il museo dei santons (ingresso libero).
I santons sono praticamente le nostre statuine del presepio (che qui chiamano crèche, cioè greppia, mangiatoia). I riferimenti alla grande tradizione napoletana sono frequentissimi nelle didascalie del museo.
Il termine santon viene dal provenzale santoun che significa piccolo santo. Infanti le statuine in terracotta (ma anche in altri materiali e quasi sempre vestite di stoffe dai colori intensi, da molto piccole fino ad una altezza che può superare i 30 centimetri) in un primo tempo riproducevano solo i personaggi sacri della natività. Poi si sono allargate a rappresentare anche animali e personaggi della quotidianità. I santons più pregiati sono proprio quelli che raffigurano contadini, artigiani, viandanti, pastori nei costumi provenzali.
Prendiamo la strada del ritorno. Passiamo la notte nel campeggio di St-Maximin in cui avevamo soggiornato nel viaggio di andata. Ritroviamo i nostri amici di Lione. Al mattino ancora qualche chilometro sulle strade che attraversano le campagne e le colline della Provenza.
Poi, ahimè, bisogna entrare in autostrada.
Noi, Egle e Gian Do. Alle nostre spalle la sorgente cara a Francesco Petrarca. Vi auguriamo di poter vivere la gioia del nostro viaggio.