Un omicidio feudale per l’esordio
di Mazzocato
(Claudio Toscani, Avvenire, 13 marzo 1998)
Primi spiccioli del nostro secolo: in una tenuta della profonda provincia veneta per molti versi ancora feudale, l’atavico avvilimento mette fine alla vita della contessa Linda Onigo, donna di straordinaria durezza d’animo e di irremissibile miseria morale. Bianchet, l’assassino, tradotto in catene a Venezia, vive i tempi dell’attesa di una condanna che, all’angosciante procedere della macchinosa liturgia tribunalizia, affianca un sorprendente evolversi delle coscienze in gioco, sia private sia sociali.
Lo sviluppo binario del romanzo alterna capitoli di narrazione oggettiva, in terza persona e condotti -come si dice- dal di fuori, a capitoli-diario, stesi da un “io” narrante, il conte Francesco Avogadro degli Azzoni, cugino della vittima, ma anche suo intimo amico-amante. Il racconto intriga un buon numero di altri personaggi, ma essi sembrano prender parte alla trama in qualità di ruoli più che di persone. Perché, ed è questo il merito della sua struttura significante, “Il delitto della contessa Onigo” è un libro che, dalla rappresentazione di un evento singolo ben circoscritto, dirama all’emblematico tratteggio di una condizione generale e categoriale: la dialettica schiavo-signore che secolarmente predomina nell’avventura umana.
Al punto che l’intreccio cronistorico cui Mazzocato dà magnetica e filante forma letteraria, crea al tempo stesso un incontro-scontro di rilievo collettivo.
Da una parte il servo della gleba che con un paio di fendenti d’ascia cancella l’oppressiva contessa e incarna la vendetta di una innumere frangia di umiliati (qui miserabili contadini itterici e pellagrosi); dall’altra parte, la società borghese, coi suoi probabili o presunti eredi, coi suoi testimoni interessati, coi suoi aristocratici di parte, a braccetto delle istituzioni (nel caso in esame, giudici e macchina inquirente).
Pietro Bianchet è un accidens: non è innocente, ma il suo è un ruolo dell’ingranaggio in una controversia a lui estranea, sia la sua premeditazione o incapacità mentale, sia il suo un agguato o un raptus.
Nelle more di un processo dalle mille realtà e dalla disattesa verità, si giunge perfino a parlare di complotto e di congiura. Il sudore dei servi chiede il sangue dei padroni. È l’aspra storia della povertà cruenta.
Per Mazzocato un esordio di lusso.
Sia per tematiche assunte e “lavorate”, sia per stile posato, controllato, pieno di tattici valori formali.