Uno scontro tra nobiltà e servi della gleba
(Giancarlo Granziero, Il Gazzettino, 24 dicembre 1997)
…Da questo fatto di cronaca Gian Domenico Mazzocato, trevigiano, latinista (recente l’uscita per la Newton Compton dell’opera di Tito Livio da lui curata in sei volumi) ha tratto un docu-romanzo.
Romanzo documentario, dunque, perché la vicenda –anche a voler tralasciare i particolari del processo- è conservata solo oralmente, con le inevitabili distorsioni procurate dal trascorrere dei decenni, soprattutto (ipotizziamo) in versioni contadine.
Questo romanzo primo di Mazzocato ha un tono idealmente cronistico. Ma non del semplice cronista di nera, come è caduto per libri di altri colleghi (l’autore, oltre che insegnante di lingue classiche è giornalista), anzi del più raffinato cronista di costume.
Perché il delitto è il risultato di un conflitto: quello, assai sentito agli inizi del Novecento e fino alle prime lotte sociali organizzate, tra padroni e servi della gleba. Lei, Linda, contessa (ma col primo nome assolutamente plebeo, Zenobia, e si diceva fosse una bastarda) attaccata alla terra in maniera contadina; lui, originario del bellunese, dal nome nobile, Pietro, e dal cognome plebeo, Bianchet (quella tronca, quasi un destino).
In tempi di ricchezza e di miseria, nobili e servi contrapposti, l’insofferenza degli uni verso gli altri era genetica prima ancora che atavica. L’estremo gesto del contadino contro la “parona” non è che l’estremizzazione di questo conflitto, non ancora entrato nella mente dello strato più basso della popolazione ma latente, quasi covato in sordina.
L’autore ha affrontato la vicenda, di per sé semplice, percorrendo due strade: quella del processo e l’altra dei ricordi di un cugino della contessa, che segue le ultime fasi della storia. Senza dimenticare il protagonista, uomo spento, che alla richiesta “se avesse nulla da dichiarare” risponde decisamente “no”.
Perché un povero ignorante trova difficoltà a spiegare al magistrato le motivazioni profonde del folle gesto.
Perché è un contadino, perché l’uccisa è una nobile, perché la giustizia è unilaterale (lo si vedrà qualche anno dopo, sempre a Venezia, col caso Tarnowska).
Gian Domenico Mazzocato (duemila copie del romanzo vendute in dieci giorni) ha indovinato la chiave di scrittura. La narrazione si rivela molto attenta ai particolari della vita contadina, alle impressioni di Pietro Bianchet quando arriva a Venezia e poi ai ricordi che affiorano quando è in carcere, alla descrizione dei personaggi anche di contorno, in uno stile scorrevole, tanto da far sembrare certi passi vere e proprie fotografie parlanti.
Una capacità descrittiva molto originale quella di questo “cronista epocale”. Un viaggio nel tempo che scolpisce a tutto tondo personaggi anonimi, prima di essere presi in esame dall’acuta scrittura dell’autore. In definitiva un libro “nuovo” che merita la lettura.